venerdì 11 novembre 2011

Fiera dell'Autunno e mani della nonna

Herbstmesse, Basel
Il più antico mercato annuale della Svizzera è l'Herbstmesse di Basilea. Ad aprire la 541° edizione della fiera d'autunno è stata, anche quest'anno, la campana di San Martino che ha suonato alle 12 in punto del 29 ottobre. Fino al 13 novembre, sette piazze del centro città ospitano bancarelle e giostre. Le merci sono esposte entro la cornice di piccoli cottage che profumano di resina e poiché si snodano, uno accanto all'altro, a formare percorsi labirintici, l'impressione è di avventurarsi in un romantico villaggio intagliato a colpi d'ascia nel cuore di un bosco centenario. Alle fragranze resinose e un po' arcaiche si mescolano gli effluvi golosi delle leccornie tradizionali: la Käskiechli (tortina al formaggio ideata nel 1928 da Gaston Wacker), le mandorle arrostite o caramellate e il Magenbrot (pane dolce a forma romboidale speziato con anice stellato, noce moscata e cannella; letteralmente 'pane dello stomaco' perché pare favorisca la digestione). Non mancano gli altrettanto tipici Bratwürste e Raclette e c'è persino uno stand che offre vino bianco e risotto alla milanese.
Quest'anno però la Messe l'ho visitata con un inconsueto distacco. La mente vagava altrove: seguiva il cuore, ammaliato e immalinconito dalla struggente bellezza degli alberi dipinti d'autunno. La Fiera dell'Autunno, di questo sì vorrei scrivere oggi. Viaggio con il naso all'insù ad ammirare gli ombrelli di fronde. Le foglie vibrano all'aria come ondine di uno stagno, alcune d'un verde annacquato, altre già screziate con i colori caldi. Venature ruggine e mattone, pennellate ocra e zafferano brillante. Nostalgie di mirto alternate a tocchi festosi di ciliegia e corallo: l'ultimo glorioso guizzo sanguigno di tramonto, un attimo prima che i rami scuri e irrigiditi dal freddo si scrollino di dosso le loro vesti variopinte di carta velina. Esplosione di coriandoli che galleggiano in aria per un tempo indefinito, poi, oggi, hanno cominciato a cedere alla forza di gravità: e il colletto di clown del cielo si è trasformato in croccante tappeto.
La Fier[ezz]a dell'Autunno sono anche due alberi che hanno abbattuto ieri nella piazza dietro casa: costruiranno nuovi uffici di una grande industria farmaceutica. Le carcasse giacevano a terra, come un pesce che galleggi a pancia all'aria: innaturale per loro che solleticavano il cielo. Un profumo intenso di resina aveva invaso l'aria. Restava sospeso, pastoso, appiccicoso, invadente e morbido nonostante l'incrocio trafficato di macchine e il suo umore acido di carburante. Il profumo di albero, il suo ultimo intenso respiro, mi si è appiccicato alle narici e mi ha accompagnata fino a casa.
“Un albero è vivo come un popolo più che come un individuo, abbatterlo dovrebbe essere compito solo del fulmine” (Erri de Luca, “La città non rispose”, in In alto a sinistra, Feltrinelli 1994).
Alla festa di San Martino si usa accompagnare i bambini più piccoli in una processione di lanterne che accendono le ombre della sera. A volte la passeggiata nel quartiere si conclude con un frugale pasto simbolico: si spezza il pane cotto in casa, si divide la zuppa di zucca, a ricordare la generosità del santo di Tours che donò metà del suo mantello militare ad un mendicante seminudo.
Quest'anno la condivisione ha avuto un tono più concreto. Alle 17,30, le tre classi prime della scuola Volta erano riunite nel cortile: i bambini con i loro lumi di carta, i genitori assiepati tutt'intorno. Accese tutte le candeline, il corteo è partito, diretto al parco St. Johann. Un serpentone di lanterne giallo-arancio avanzava dinoccolato sui prati ormai annegati di buio: le voci facevano danzare i loro canti nel freddo, guizzanti come le fiammelle. Poi ha proseguito lungo il fiume: nastro di lucciole riflesso nell'acqua e ha infine piegato verso destra fino ad arrotolarsi, pago e di buon umore, nel salone centrale dell'Altersheim, la casa per anziani. Gli ospiti erano disposti ad anfiteatro sulle loro sedie a rotelle, la schiena rivolta alle alte finestre che danno sul parco e contro i cui vetri eravamo assiepati noi, a guardare. La maestra di musica sollecita le corde della chitarra con entusiasmo, le altre guidano il coro. I lumicini vacillano nello sforzo di sopravvivere all'oscillazione del canto e con loro dondolano i capi canuti, con la pazienza ieratica dei vecchi. Una di loro sorride tra sé mentre tiene il tempo con la testa e con le mani. Immagino che si riveda bambina, anzi bambina ancora lo è, dentro: glielo si legge negli occhi malandrini, nel movimento che si concede a dispetto della prigione di cartapecora. Guardo le sue mani e alla gola mi sale un nodo di dolorosa tenerezza. Sono le mani di mia nonna Jolanda e suo è anche quel modo buffo di applaudire: non le piega a coppa per dare una cassa di risonanza al colpo, le batte piatte, rigide come pale da pizza. Le lunghe dita sono rametti nodosi di un elfo-albero, deformati dall'artrite, segnati dalle venature di decenni di fatica e lavoro amorevole. Quando uno scroscio di applausi celebra la fine del piccolo concerto, lei sbatte tra loro quei ventagli spogli, aggiungendo al rumore schioccante degli altri il suo struscio, come sfregamento di cartavetro sul legno. S'illuminano i suoi occhi e si bagnano di lacrime. E i miei con lei.

Per chi avesse in progetto una processione di lanterne, ecco la canzone:

Ich gehe mit meiner Laterne

Ich geh mit meiner Laterne
und meine Laterne mit mir.
Dort oben leuchten die Sterne und unten, 
leuchten wir.
Ein Lichtermeer zu Martins Ehr!
rabimmel- rabammel-rabum

Ich geh mit meiner Laterne
und meine Laterne mit mir.
Dort oben leuchten die Sterne und unten, 
leuchten wir.
Laternenlicht, verlösch mir nicht!
rabimmel- rabammel-rabum

Ich geh mit meiner Laterne 
und meine Laterne mit mir.
Dort oben leuchten die Sterne und unten, 
leuchten wir.
Mein Licht ist aus, ich geh nach Haus.
rabimmel- rabammel-rabum





 

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