domenica 6 novembre 2011

"Aiuto non ti leggo la faccia!" - Teenagers e la "lingua silenziosa"

@ nac-aep 2011
 Si chiama alfabetizzazione visuale ed indica la capacità di trasmettere informazioni complesse attraverso formati di linguaggio iconico, ossia comunicare con le immagini. Esempi piacevoli e spesso arguti, sono i 'doodles' di google, logo simbolici che rielaborano il tema del giorno, scelto tra feste ed eventi di tutto il mondo. Diventiamo creativi visuali anche noi quando inanelliamo scarabocchi al telefono, facciamo uno schizzo preparatorio o scioriniamo tabelle e grafici durante una presentazione di PowerPoint in ufficio. Ci sono poi i maghi del design, come Edward Tufte, il guru infografico di Obama e c'è chi nell'insegnamento escogita tattiche basate sulla memoria visiva come il professor Schwartz della Brown University nel Rhode Island, che insegna la scomposizione in fattori dei numeri da 1 a 100 con l'ausilio di una tabella. Pare un arazzo alla Missoni, l'effetto cromatico è assicurato, quello didattico non so, certo a me personalmente trasmette un senso di horror vacui: non c'è un millimetro vuoto, un po' di respiro.
Nonostante le buone intenzioni di Schwartz, in alcuni ambienti si lamenta la mancanza di un sistema formativo che supporti questa forma di comunicazione iconica e insegni a creare, analizzare e trasmettere informazioni in maniera visiva. Quella che, da bambini, è una capacità innata, si perde progressivamente con l'età, il che è un peccato, dicono alcuni, perché se il presente è largamente caratterizzato dal bombardamento di immagini, il futuro ne fa prevedere un dominio incontrastato. Immagini che, peraltro, si adattano benissimo ai tempi sempre più frenetici, perché permettono un'acquisizione delle informazioni quasi immediata, a differenza di un testo scritto che richiede pazienza, attenzione e tempo per essere letto.
Accanto agli entusiasti della società visuale, ci sono gli scettici, soprattutto perché la trasmissione visiva va di pari passo con la dimensione virtuale e c'è chi da questa combinazione è un po' preoccupato.
La National School Boards Association è un'associazione no profit americana che raccoglie i consigli scolastici di tutta la nazione, per un totale di 47 milioni di studenti di scuola pubblica. Le sue statistiche, quindi, si basano su un bacino di analisi piuttosto ampio. Uno studio della NSBA datato al 2007 stabiliva che i ragazzini della scuola media e superiore dedicassero una media di 9 ore a settimana a social networks. Una statistica dell'anno scorso quantificava a 2 ore e 20 minuti al giorno il tempo trascorso su internet dai ragazzini tra i 13 ed i 17 anni. Per 'social network' s'intende, in questo caso, una rete di connessioni di più individui che si realizza su piattaforme virtuali come: facebook, twitter, i blog, ma anche le email o gli IM (i messaggi istantanei di msn messenger, per esempio). Il sistema di comunicazione che sperimentano i giovani al giorno d'oggi è reso ancora più frenetico dal traffico di sms. La Nielsen Mobile, nel settembre 2008, annunciava che i teenager americani scambiassero in media 1742 messaggini al mese (ossia 58 al giorno!). Pochi mesi dopo la cifra era già salita a 2272.
Un'era dell'ipercomunicazione globale, 'a distanza' e per interposta persona. Con il telefonino scambiamo foto, arricchiamo i nostri messaggi di video, sul nostro wall di facebook, postiamo immagini simboliche corredate da 'frasi fatte', che ci sembra descrivino al meglio il nostro sentire. È l'evoluzione del cioccolatino perugina: una volta lo si regalava e si guardava il destinatario negli occhi, mentre srotolava la microscopica pergamena e ne leggeva la citazione a tema, ora non ci guardiamo più in faccia.
E questo crea un problema, perché la comunicazione, da sempre, ha bisogno del contatto visivo. L'efficacia di un messaggio dipende solo per il 7% dal suo contenuto, tutto il resto lo fa la cosiddetta 'comunicazione non verbale': il linguaggio del corpo, la gestualità, la mimica del viso e le sue espressioni incontrollate come l'arrossire o l'impallidire. Anche il tono, la frequenza, il ritmo della voce rappresentano una componente importante, così come le pause ed i silenzi. Per ovviare a questa lacuna sono state introdotte un plotone di 'emoticon' (emotional+icon= icona emotiva), che rappresentano in modo stilizzato le espressioni facciali, alcune anche animate. Resta però il problema del gesto. Quando leggiamo una email, le faccine gialle dotate di sorrisi, lacrime, smorfie o occhialini da sole, ci fanno capire di che umore sia il mittente, che tono abbia il messaggio, però non vediamo la sua faccia, come muova gli occhi, le mani, in che modo si sposti nello spazio e che postura abbia. Tutte cose che l'antropologo Edward T. Hall chiamava “la lingua silenziosa” e a cui attribuiva una grande importanza. La cosa buffa è che la lingua silenziosa non si apprende a scuola, ma fa parte di un processo di acculturazione che è largamente inconscio. Lo studioso faceva l'esempio dei diplomatici USA che, pur padroneggiando la lingua di un paese straniero, una volta sul posto, cadevano facilmente vittima di fraintendimenti, a causa della loro ignoranza della componente paralinguistica locale.
Il fatto è serio. Se noi adulti, in virtù dell'enciclopedia prossemica acquisita da bambini in una società ancora 'reale', ce la caviamo, le nuove generazioni cresciute a TV, @ e Nintendo, lontano da occasioni di interazione sociale vis à vis (il parco, il campetto di calcio, il cortile di casa) fanno una gran fatica a decifrare le espressioni del viso, come dice il titolo: a “leggere la faccia”.
Con gli stilizzati cerchietti gialli dalle smorfie stereotipate è facile, c'è perfino una legenda che ne spiega il significato, ma con un volto umano le cui sfaccettature espressive sono molte di più e più mutevoli, sfumate e non così nette, come si fa? La conseguenza è una catena di incomprensioni: i ragazzini che fanno fatica a leggere le situazioni sociali, sono portati a pensare di essere disapprovati o di non piacere e trascurano di muoversi con tatto e diplomazia. I rimproveri o conflitti con gli adulti, che ne conseguono, scatenano nei ragazzi ansia e frustrazione accentuandone i problemi di controllo comportamentale. Questo è, come detto, accentuato dal contesto di relazioni virtuali in cui si muovono, ma dipende anche dal loro sistema neurologico immaturo. C'è un video intitolato “The Teenage Brain” che spiega come il cervello degli adolescenti sia biologicamente diverso da quello degli adulti. Un passaggio in particolare mostra le risposte di alcuni ragazzi alla richiesta di interpretare i volti ritratti in alcune foto. La maggior parte non è in grado di farlo o legge espressioni di rabbia dove in realtà non ci sono. I teenager si sentono tipicamente vittime della suscettibilità adulta e forse è per questo che un'insegnante americana denuncia sul suo blog che la maggior parte degli studenti che conosce si sente 'odiato' dal corpo insegnante. Le abitudini digitali approfondiscono quindi un problema che già fa parte dell'età.
È difficile prevederne ora le conseguenze ed è presto per quantificare i danni, inoltre una qualsiasi ricerca a riguardo non riuscirebbe a stare al passo con l'offerta tecnologica in continuo ricambio.
James Lehman ha un approccio pratico e propone un vero e proprio decalogo d'aiuto. Il punto è: guidare i bambini, attraverso la narrazione di situazioni sociali concrete, ad esercitare il comportamento adatto; aiutarli ad interrogarsi sulle loro emozioni e su quelle degli altri, cominciando dall'analisi di fotografie o illustrazioni, fino a porre domande esplicite a fugare ogni fraintendimento: il buon vecchio “Come stai? Ho fatto qualcosa di sbagliato / che ti ha ferito?”
Gli scienziati hanno scoperto recentemente che siamo diventati più miopi perché non siamo più abituati a guardare lontano, l'orizzonte si è ristretto: difficile scorgere un profilo di montagne dietro alla giustapposizione di parallelepipedi che sono diventate le città. Speriamo che un giorno le emoticon non diventino struggenti icone stilizzate di marionette che hanno perduto il ricordo dei sentimenti e perciò li mimano, con un briciolo di inspiegabile nostalgia.

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