lunedì 24 ottobre 2011

Grundeinkommen/reddito di base: vivere a Utopia e non dispiacersene

Tommaso Moro, L'Isola di Utopia, 1516
Sono passati quasi cinque secoli da quando Tommaso Moro coniò il termine utopia, che altro non è se non una doppia sciarada mutuata dal greco antico. Se la si scompone, infatti, si ricava ou-topos (cioè non-luogo) ma anche eu-topos (luogo felice): vale a dire un gran bel posto che purtroppo non esiste. Questo è il nome che diede all'isola, descritta in un volume omonimo del 1516, abitata da una comunità ideale. In quella società, comunista ante-litteram, il Moro vagheggiava che i beni materiali fossero ripartiti in maniera eguale tra tutti i cittadini. Questo è uno dei capisaldi dell'iniziativa del Grundeinkommen o reddito di base, ma non solo.
Immaginate di trovarvi ad un'assemblea di qualche tipo, non ha importanza dove o quando, conta che sia coinvolta molta, moltissima gente. Potrebbe trattarsi della platea di un teatro o delle gradinate di uno stadio. Ora qualcuno, spiazzando la massa in attesa, zittisce il rumoreggiare, prende la parola e fa a tutti i presenti una richiesta semplice semplice: “alzi la mano chi di voi ritiene di svolgere il lavoro che ama.” Quante braccia si leverebbero, secondo voi? A occhio e croce direi poche... Ecco il secondo fondamento: la realizzazione personale.
Consideriamo la metà di globo in cui, per nostra fortuna, ci troviamo: il nord del mondo, quell'etichetta geopolitica che comprende i paesi con un alto indice di sviluppo umano (che si evince dalla combinazione di 'speranza di vita alla nascita+reddito pro capite+tasso di alfabetizzazione'). È un fatto che la maggior parte delle persone lavori per necessità, svolga un'occupazione che, per lo più, ha poco o nulla a che fare con la sua formazione o con le sue aspirazioni. Si lavora per la sussistenza propria e dei familiari e, se avanza qualcosa dalle necessità primarie, lo si dedica, conformemente alle possibilità, a elementi di comfort e/o svago extra, nei casi più fortunati perfino di lusso.
Come cambierebbero le cose se, sovvertendo il sistema, il lavoro si trasformasse da necessità imprescindibile a libera opzione? Vale a dire non doversi più rassegnare ad una qualunque occupazione precaria, aliena, demotivante, pur di 'portare i soldi a casa', perché i soldi, a casa, arrivano da soli: un reddito di base (Grundeinkommen, appunto) elargito dallo Stato a ciascun cittadino dal suo primo vagito.
Se le condizioni minime di vita fossero garantite, cosa farebbe una persona finalmente liberata dalla spada di Damocle della sussistenza? Avrebbe più tempo per pensare, e questo è pacifico. Nella fattispecie pensare alle cose che veramente le interessano e, ovviamente, dedicarvisi. Si direbbe un sogno, tanto visionario da parere offensivo: il timore della disillusione fa scattare il disincanto e vien da pensare allo sterile filosofeggiare di intellettualoidi nullafacenti che sventolano le loro trovate balzane e irrealizzabili, come la carota sul naso del ciuco, per poi, una volta suscitata la speranza, lasciarle svaporare come in un gioco di prestidigitazione. Certo chi il lavoro, a causa della crisi contemporanea, l'ha perso e vede la barchetta della propria famiglia travolta dai marosi dell'incertezza non ha tanta voglia di perdersi in castelli in aria.
Eppure c'è chi si adopera affinché l'utopia diventi realtà.
Nel gennaio del 2006 Daniel Häni (artista) e Enno Schmidt (imprenditore e realizzatore di spazi culturali) hanno fondato l'"iniziativa reddito di base" che ha sede nel cuore di Basilea (il posto si chiama 'unternehmen mitte') in un edificio adibito a caffetteria, uffici, abitazioni, spazi espositivi e culturali. Qui l'ispirazione trova una realizzazione concreta poiché è finanziata da individui e organizzazioni che credono nel progetto e vogliono sostenerlo con contributi liberi.
Il piano non è rimasto però circoscritto ad un limitato spazio cittadino auto-gestito. Il 18 marzo 2010, è stata depositata al parlamento svizzero, dal Sig. Zisyadis Josef, del gruppo dei Verdi, l'iniziativa parlamentare n.10.422 che così recita:
"In virtù dell'articolo 160 capoverso 1 della Costituzione federale e dell'articolo 107 della legge sul Parlamento presento la seguente iniziativa parlamentare:
La Confederazione istituisce un assegno universale o reddito di esistenza sufficiente versato incondizionatamente, ossia senza giustificazione di risorse, a ogni individuo, dalla nascita alla morte, per il solo fatto che esiste."
Nell'attesa che ricomponiate l'espressione vagamente idiota di stupita incredulità che vi si è dipinta sul viso di fronte al miraggio di Utopia, proseguo con i dettagli:
"L'assegno universale designa il versamento di un reddito unico a tutti i cittadini di un Paese, a prescindere dalle loro entrate, dal loro patrimonio o statuto professionale. Tale reddito permetterebbe a ognuno di soddisfare i propri bisogni primari (nutrimento, abitazione, vestiario o taluni beni culturali di base) e lascerebbe l'individuo libero di condurre la sua vita come meglio crede."
A questo punto che succede? Proviamo ad immaginare... Prima di tutto si realizza un'uguaglianza perfetta tra tutti i cittadini, quindi tutti hanno 'in nuce' le stesse possibilità. Vuol dire che etichette un po' nebulose come 'comunità umana', 'dignità del singolo' si smarcherebbero dalla genericità filosofica per diventare fatti concreti.
Gli scettici potrebbero ammonire che un paese così riformato rappresenterebbe un Bengodi per pigri e ignavi. Lo ammetto: a tutta prima l'ho pensato anch'io, poi però sono giunta alla conclusione che anche fosse, la 'stasi' non durerebbe a lungo: dopo una prima fase fisiologica di godimento passivo del nuovo status quo, le persone comincerebbero ad attivarsi. Sono convinta che ciascun essere umano abbia un'aspirazione, un sogno, un'ambizione anche piccola, forse banale, ma una cosa che gli piace fare, che sia costruire transatlantici di stuzzicadenti, o offrire una speranza ai bambini delle banlieue. Ci sarà quindi chi perseguirà le sue attività nell'ambito della vita associativa, senza produrre ricchezze in termini monetari, ma contribuendo alla stabilità del tessuto sociale. Chi, invece, non si accontenterà del 'minimo sindacale' e aspirerà a diventare ricco, a garantirsi un benessere che lo elevi al di sopra della media dei suoi concittadini e l'attività lucrativa che sceglierà di svolgere andrà a cumularsi al reddito di base.
Le principali obiezioni riguardano le modalità di finanziamento di un progetto del genere (tassazione delle rendite da capitale?) e il timore che un reddito incondizionato induca, come già detto, le persone all'inattività. Verrebbe anche meno, si paventa, la disponibilità a svolgere lavori spiacevoli e a bassa rimunerazione. C'è infine chi teme costituirebbe un forte impulso all'immigrazione (se si scoprisse che Utopia esiste, la tentazione a salpare alla sua ricerca sarebbe irresistibile!)
Il sistema produttivo è, d'altra parte, destinato a subire importanti trasformazioni nell'immediato futuro. C'è chi ritiene (Marshall Brain, Robotic Nation; Martin Ford, The Lights in the Tunner: Automation, Accelerating Technology and the Economy of the Future) che i lavori rutinari verranno progressivamente automatizzati grazie alle tecnologie avanzate come la robotica o l'intelligenza artificiale. Inutile dire che se una consistente parte della manodopera verrà soppiantata dalle macchine, sarà necessario sostenerla con una forma di reddito, altrimenti si potrebbe assistere ad un drastico calo dei consumi con conseguente verosimile depressione economica.
Ci sono insomma, a ben guardare, motivazioni concrete e piuttosto ragionevoli, che rendano appetibile un'iniziativa del genere. I suoi promotori non sono solo spiriti illuminati (o visionari, a seconda del metro di giudizio) spinti dal desiderio utopistico di migliorare la vita umana e alleviarne le frustrazioni quotidiane, ma intendono anche prevenire il cul-de-sac di uno scenario futuro ipoteticamente critico.
In questa direzione vanno le argomentazioni a sostegno della proposta, che ha presentato al Parlamento Svizzero Katharina Prelicz-Huber. L'applicazione di un sistema così potrebbe addirittura, si sostiene nella perorazione, rappresentare un risparmio per le casse dello stato. “Una copertura di base,” dice “avrebbe anche il vantaggio di esonerare la società da costi importanti per infrastrutture e servizi da fornire alle persone.” Primo fra tutti il costo sostenuto dai Cantoni per il Sostegno Sociale che riguarderebbe, secondo la Caritas, tra le 700.000 e le 900.000 persone. Quasi un milione di abitanti della Svizzera è sotto la soglia di povertà e necessita della sovvenzione statale. È necessaria a questo riguardo una precisazione: bisogna specificare cosa s'intenda per 'povero', in questo paese. A Basilea-Città il reddito medio pro capite dell'anno 2005, per porre un esempio, ammontava a 115.178 Fr.. Ciò significa che, a Basel, uno stipendio mensile di 9.600 Fr. (cioè 7.800 € circa) rappresenta la norma; al di sotto di quell'importo inizia l'indigenza. Questa colpisce soprattutto le famiglie numerose, i genitori single ed i disoccupati cronici.
Accanto a questo dato di fatto si assiste al proliferare di attività lavorative svolte a carattere volontario (soprattutto di genere artistico e culturale), che quindi non producono lucro, ma contribuiscono al benessere e alla coesione sociale, e la cui produttività è pari a quella del lavoro industriale. Un reddito di base affronterebbe in modo definitivo il tema 'povertà' ed offrirebbe uno spazio ancora più ampio alla libera iniziativa: la nuova sovranità economica dei cittadini aprirebbe il campo alla creatività e all'innovazione. In fondo, sostengono i promotori, la voglia di intraprendere qualcosa di nuovo, il coraggio di tentare vie non battute è un caposaldo fondamentale della democrazia. Infine, un altro effetto secondario molto positivo sarebbe che la pressione ad accettare condizioni di lavoro precarie verrebbe meno, perché la sicurezza della sopravvivenza (e anche qualcosa in più) sarebbe garantita comunque. In un colpo solo si risolleverebbe la società e si annienterebbe il lavoro nero o quello svolto in dispregio delle norme di sicurezza.
L'idea è destinata, per ora, a restare ospite dell'isola di Utopia, visto che al Parlamento Federale l'iniziativa non ha ottenuto la maggioranza dei consensi. Una cosa è certa: se ne parlerà ancora a lungo. Rudolf Steiner auspicava “Ideen statt Brot”, idee al posto del pane: quest'ultimo soddisfa solo il bisogno momentaneo, ma quelle che mettono in moto la realtà producendo innovazione e benessere sono le idee. Certo, quelle buone.

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