venerdì 2 settembre 2011

Il primo giorno di scuola

@ Eros Poncioni
Entrare in un edificio scolastico non è, per me, un affare da poco, soprattutto se la scuola in questione ha quell'odore inconfondibile che richiama alla memoria il mondo deformato della mia infanzia, visto dal fondo di una bottiglia: dove io sono una formica dagli occhioni sbarrati e cose e persone incombono dall'alto, con voci troppo profonde, mani troppo grandi. 
Mi capitò, non molto tempo fa, di visitare, a Basel, un collegio privato, frequentato dalla figlia di conoscenti. Tenevo la mia bambina per mano e, percorrendo l'interminabile corridoio scandito da porte a vetri, mi sono sentita un'Alice di Carroll che ha appena ingollato un sorso di pozione magica dalla bottiglietta “Bevimi!” ed è rimpicciolita quanto una serratura... Mentre io, viaggiando indietro nel tempo, torno bambina e mi si atterrisce il cuore al ricordo del passato, la manina di Amélie, nella mia, diventa àncora di salvezza e conforto che si sia nell'oggi, lontane anni luce dalla mia scuola elementare. Non che la mia infanzia nasconda chissà che atroci fantasmi, ma avevo, già allora, una fantasia piuttosto fervida, portata a colorare il mondo con i toni chiassosi dell'avventura, quelli lievi e potenti del miracolo, quelli spaventosi dell'incubo. E, come Alice appunto, crescevo o rimpicciolivo, incontravo giganti di gatti sornioni o isteriche regine di cuori... Combattuta tra la curiosità di scoprire e conoscere e lo sgomento di fronte ad un mondo arruffato, rumoroso, inafferrabile. Spesso un rivolo di paura scendeva a rigarmi le gambette, le calze bianche e le scarpe ortopediche; la frangia potata a 'scodella', troppo corta per nascondere la vergogna. 
Ecco quindi che al primo giorno di scuola di mia figlia, che in Svizzera era lunedì 15 agosto, quella in piena ansia da prestazione ero io. Dal sabato prima la cartella campeggiava nell'entrata, raddoppiata dal suo riflesso nello specchio, e il suo contenuto veniva ricontrollato, di quando in quando, così 'per sicurezza'. Finché Amélie, tendenzialmente imperturbabile, si è fatta contagiare dalla mia camuffata trepidazione e, realizzando di avere uno zaino che, ad eccezione del portapenne, era vuoto, mi ha detto, concitata: “Mamma: i libri! Dove sono i libri?!”
In realtà, la Primarschule Volta non ha niente dei miei ricordi d'infanzia e sono contenta di poter dire che anche il detergente per i pavimenti deve essere tutt'altro perché di quell'odore antico non c'è traccia.
L'architettura, tanto per cominciare, è diversa e accomuna tutti gli istituti 'svizzeri' che ho visto qui. Non avevo mai pensato a quanto la planimetria potesse incidere sulla percezione emotiva di uno spazio. L'edificio scolastico, infatti, non è il parallelepipedo 'chiuso' che ricordavo io, fatto di un alveare di stanze che si aprono su lunghi corridoi, in una successione di piani collegati da serie di gradini. La scuola si articola, bensì, come un labirinto aperto e arioso, un albero dalle ramificazioni erratiche. Le rampe non costituiscono la spina dorsale di una struttura che vi gravita intorno, al contrario: la racchiudono come una conchiglia spiraliforme di Nautilus. Ogni piano, poi, ricorda i cortili interni delle case pompeiane. Accanto ad un ampio spazio calpestabile, adatto all'assembramento contemporaneo di molte persone (e quindi a smaltire lo sciamare dei bimbi su per le scale), ci sono 'isole' laterali, circoscritte da pareti di vetro e inondate dalla luce che piove dai compluvia sul soffitto. Così, nella progressiva ascesa ai piani superiori, si svelano alla vista 'acquari' a varie destinazioni: alcuni sono salotti da ricreazione, con sedie e tavolini, altri ospitano ragnatele di cartelli stradali volanti, altri opere d'arte dei bambini. Le aule sono 3 per ogni piano e sbocciano come estremità periferiche di una ruota dentata. Hanno finestre grandi che prendono una intera delle quattro pareti, così nella classe entrano i tetti della città, i balconi, i vasi di fiori, gli alberi dei parchi, le nuvole, il sole ed il cielo tutto.
Un'altra novità, almeno rispetto alla mia piccola esperienza, è che si tratta di una scuola davvero multi-etnica. Gli svizzeri rappresentano la minoranza, per quanto molti stranieri siano immigrati di terza generazione e quindi, ormai, del tutto integrati. Il benvenuto a genitori e bambini è stato infatti dato dal direttore (jeans, t-shirt e orecchino) in tedesco basilese, mentre i docenti di HSK hanno, a turno, salutato i convenuti in spagnolo, tamil, albanese, serbo, turco... Un progetto pilota di questa scuola prevede, infatti, per gli allievi stranieri, un corso di “lingua e cultura del [loro] paese natale” (HSK, appunto: “heimatliche Sprache und Kultur”). A condizione che ci sia un numero minimo di 5 rappresentanti della lingua in questione, i bambini sono presi dal docente nell'orario scolastico e portati a conoscere, per un'ora e mezza a settimana, la loro cultura d'origine. Gli altri, che rimangono in classe, approfondiscono invece quella svizzera. Un esempio intelligente di integrazione, pur nel rispetto e incoraggiamento della diversità.
Ci sono tante cose che mi hanno colpita, il primo giorno di scuola, e che hanno stampato sul mio viso incredulo un sorriso un po' ebete. Il coro di ragazzini che ha cantato per noi, le ginocchia che dondolano a ritmo, per rompere il ghiaccio (con una direttrice d'orchestra che mulinava le braccia in estatico entusiasmo). Le rastrelliere di legno in cui si posano le scarpe, poiché in classe si sta in ciabattine; gli uncini per le sacche da ginnastica (che si fa 2 volte a settimana più un pomeriggio extra di atletica, offerto dalla scuola, ed un'uscita per il nuoto ogni 15 giorni); un'intelaiatura, sempre di legno, a grossi scomparti, proprio fuori della classe per deporre le cartelle, che così non ingombrano tra i banchi. Questi ultimi messi a ferro di cavallo, la cattedra che non incombe in mezzo, ma è un tavolino piccolo, relegato in un angolo: la maestra sta per lo più in piedi. La lavagna a libro: tavole di ardesia che si sfogliano, così non c'è bisogno di cancellare e c'è posto per il disegno madonnaro delle mascotte della classe (che ne identificano i gruppi di lavoro): la rana ed il topolino.
Ogni aula è collegata, attraverso un muretto basso, ad una stanza di supporto, dove c'è una piccola libreria, un mini-frigo, i bicchieri dei bambini, un tavolo componibile e cuscini enormi e morbidoni, in cui viene voglia di tuffarsi e affondare la faccia (tanto più che sono blu, come l'oceano profondo).
E poi si fanno Attività Manuali e anche Musica; la Religione è più che altro un mix ecumenico che include islam, induismo, giudaismo ed offre ai bimbi un quadro completo dei credi nel mondo.
Ultime note di colore: nella classe 1d ci sono 16 bambini. Oltre alla maestra, c'è una praticante. Le due sono affiancate, novità del cantone di Basilea, da una Hochpädagogin, pedagoga che è presente tutti i giorni e si occupa di chi abbia difficoltà di apprendimento e magari rimanga indietro sul programma (anche per questo c'è la stanza accessoria). Nel caso specifico, poi, c'è un audio-pedagogo extra che viene ad aiutare un bimbo gravemente sordo. Il primo giorno di scuola si è presentato, mostrando un piccolo microfono e spiegando che a volte, quando in classe ci sarà rumore, è possibile che lui o le insegnanti debbano usarlo, che quindi i bimbi non si spaventino, poiché serve per aiutare il compagno che non sente bene. Anche in questo caso si tratta di una nuova frontiera dell'integrazione, poiché in passato piccoli con questo tipo di problemi dovevano frequentare istituti apposta, oggi si tende ad inserirli nella classi dei normodotati, ma in modo che abbiano tutti i supporti del caso. Posso anticipare che, dopo due settimane di scuola, Maxum ha cominciato ad interagire con compagni ed insegnanti, da che era isolato nel suo mondo silenzioso. I nuovi amici, inoltre, stanno imparando il rispetto per la diversità e come possa essere fonte di ricchezza e scoperta: devono infatti esercitare la pazienza e l'ascolto per stare al passo con lui, devono imparare a guardarlo negli occhi quando gli parlano e scandire bene le parole, in modo che possa leggere le loro labbra. Respirano, insomma, la tolleranza.
Ci hanno dato poi una cartellina con brochures informative varie, non entro nel dettaglio, ne cito solo due che gettano un po' di luce sui principi educativi di questo paese. Una lettera è della polizia. Un corso di sicurezza stradale aveva già avuto luogo all'asilo, perché in Svizzera i bambini vanno al Kindergarten da soli, a partire dai 4 anni. La mattina, infatti, li si vede trotterellare, a gruppi o da soli, per i marciapiedi della città, con le loro inconfondibili pettorine gialle catarifrangenti. Un agente aveva spiegato loro come attraversare la strada, regalato il peluche della cagnolina poliziotta Pati, e consegnato un CD di storie e canzoni, interpretate dalla stessa mascotte, a tema sicurezza stradale (il titolo, in dialetto basilese, era: “Warte... Luege... Lose!” - aspetta, guarda, vai!) Imparato il ritornello, Amélie aveva fatta sua la prudenza nel traffico. Ora la polizia scrive per augurare un buon anno scolastico ma soprattutto per invitare i genitori a non accompagnare i bimbi a scuola in macchina, se non in caso di emergenza, ma preferibilmente a piedi, in modo che non siano 'pacchetti' passivi ma prendano coscienza della strada e delle sue regole. Una passeggiata mattutina da fare con calma, lasciando che segnino loro la pista, per così dire.
L'altra lettera era del dipartimento dell'educazione e dava consigli alimentari: uno Z'nuni-box (contenitore per la merenda) è stato fornito ad ogni bambino e si caldeggia il consumo prevalente di verdura e frutta fresche, pane integrale e acqua naturale. Niente bevande gassate o zuccherate, succhi di frutta inclusi, niente cracker, snack vari, o panini multipiano fatti in casa.
Dal primo giorno Amélie è tornata a casa con il cappellino giallo, regalo della polizia stradale, e una conchiglia, regalo della maestra (“Sai, mamma? Frau Steiner ha raccontato di essere andata al mare in vacanza e di aver pensato di fare un regalino ai suoi...” “Ai suoi allievi, Amélie...” “Eh, e così ci ha portato una Muschel (conchiglia), jedem eine (una a ciascuno)!” Lei era molto orgogliosa.
Un'ultima descrizione, che ci terrei a fare, riguarda la Elternabend: la serata d'incontro del corpo insegnante con i genitori, che ha avuto luogo lo scorso 25 agosto, per fare un primo punto della situazione, a 10 giorni dall'inizio, e spiegare come si stia svolgendo il lavoro scolastico.
Ci hanno fatti accomodare nell'aula e, più precisamente, ciascun genitore era seduto al posto in genere occupato dal figlio. Avevo le ginocchia in bocca e, solo dopo una decina di minuti di atrofia muscolare, mi sono resa conto che banchi e sedie erano in scala lillipuziana. Su ogni banco campeggiava un cartoncino piegato a tetto, con il nome del bimbo. Ciascuno aveva poi un piccolo box con gomma e matita caran d'ache e una scatolina origami (che ho poi scoperto essere stata fatta dai bimbi) con le fiches che usano per aiutarsi a contare. Non c'è bisogno di portapenne, non sono richiesti quaderni o libri. Tutto è fornito dalla scuola, cartellina per i disegni inclusa. I quaderni hanno il colore della carta da imballo e recano il simbolo della città: il Baslerstab, ossia la punta delle coda di drago. I libri hanno la stessa icona, in filigrana, e restano a scuola (così non ingombrano inutilmente la cartella e non pesano sulla schiena), a meno che non ci siano Hausaufgaben, compiti a casa. Questi non devono prendere più di 10 minuti e il bimbo li deve fare da solo, a meno che non chieda espressamente l'aiuto dei genitori. Ne va dell'autostima, pare. Per lo stesso motivo i 'grandi' di casa è bene che non correggano gli errori. La filosofia di base è che non vada frustrata ai bimbi la possibilità di esprimersi, poiché quando si può progredire con calma e si ha il tempo per riconoscere, da soli, i propri sbagli, si matura un sano senso delle proprie capacità e si metabolizzano le acquisizioni in modo 'indelebile'. Così, visto che la voglia di imparare nasce dal desiderio, dalla curiosità del mondo che i piccoli esprimono spontaneamente, non li si deve forzare alla diligenza, ma bisogna rispettare il loro tempo. 
Per imparare a leggere si adotta una tecnica 'nuova', che se non sbaglio è ben nota anche in Italia e consiste nell'apprendimento fonetico. La lettera che, in italiano, chiamiamo 'bi' per esempio, va citata come suono [b], per evitare che, nel trascriverla, i bambini rendano il gruppo B+I invece della sola consonante. La matematica è tutta insegnata attraverso giochi di logica o di società e ricorrendo all'ausilio di vari strumenti e oggetti, dal domino, ai dadi multifaccia, alle carte con figure componibili, sassi, conchiglie, perline.
Concludo questa carrellata con un'immagine che, in realtà, descrive cronologicamente l'inizio della riunione dei genitori. La maestra, Frau Steiner, ha inserito un iPod in un amplificatore e ci ha fatto sentire le voci dei nostri bambini. Nel nostro silenzio stupito e sospeso, si sono succedute le interviste a ciascuno di loro. Le domande erano tre: “come ti chiami; cosa vuoi imparare a scuola; com'è stata la prima settimana di scuola?” Chi con voce più sicura, chi biascicando intimidito (come mia figlia), tutti hanno risposto: “cantare – contare – scrivere”. Amélie, invece, ha bisbigliato “...leggere...” Tutti hanno definito la prima settimana “super” o “fantastica”, per lei è stata solo “bella”, ma l'ho detto che ho una figlia imperturbabile.
In ultimo, ho parlato dei corsi di lingua e cultura madre. Nel nostro caso, Amélie studierà la terra di Heidi e Guglielmo Tell, poiché i bimbi italiani nella sua scuola sono pochi e la lingua italiana la approfondirà in due ore pomeridiane organizzate dal consolato, ogni venerdì.
Così la scorsa settimana siamo anche andate all'incontro dei genitori, italiani questa volta, con la maestra assegnataci dal ministero degli esteri, affinché ci desse le informazioni logistico-organizzative. 
Sulla via del ritorno in bicicletta, abbiamo attraversato il Dreirosenbrücke. Giocando con le marce siamo riuscite a vincere la salita con pedalate poderose che la palla incandescente, che rosolava il cielo serale, non è riuscita ad intimidire. Mentre c'inerpichiamo sulla pista ciclabile verso il tramonto, alzo il naso per dimenticare la fatica e perdermi nell'immensità di cielo che mi si sventaglia davanti. Tutto l'emisfero boreale è sulla mia testa ed è di un azzurro etereo, reso fluorescente da questo singulto di fine estate. Lenzuolate di cielo si allungano ovunque si posi il mio sguardo e, appena quello si sposta più in là, chilometri di azzurro gli si srotolano dietro. Davanti a me, in prospettiva, una 'presa' di nuvole che incoronano la palla di fuoco. Sono magnifiche: pompose, gonfie e d'un lilla evanescente. Le guardo e m'incupisco.
La maestra aveva citato un 'contributo volontario' al corso di 180 Fr. a bambino. L'Italia, che sta tagliando i fondi destinati a formazione e cultura, non riesce a garantire che, in futuro, questa offerta formativa, che per ora è gratis, possa continuare ad esistere. Quella quota sarebbe quindi un investimento fatto oggi, a vantaggio dei bimbi italiani, residenti in Svizzera, di domani.
Si è scatenato un putiferio:
“Io non pago perché, se è volontario, allora perché devo pagare?”
“Io pago, ma non quello che vogliono loro, ho deciso di dare solo 50 Fr. a bambino: ne ho 3 io e che devo fare? Mi sveno?!”
“Io ho sempre pagato però allora se quello non paga quell'altra neppure allora non pago neanche io!”
E la maestra: “No, ma, sentite: a me queste cose non interessano, io vi ho solo detto come stiano le cose, poi fate come volete voi. Io tanto tra due anni mi scade il contratto a termine e me ne torno a casa, capite?”
“Io invece pago! Perché io voglio investire nel futuro dei miei figlie e non si discute.”
Amélie si dimenava sulla panca, annoiata e nauseata e ad un certo punto mi chiese, in tedesco: “Mamma... Ma perché tutto questo parlare sopra?” Disarmante innocenza... 
Così, nel ritorno in bici identifico con quei 'fumetti' di parole scomposte, le nuvole che ingombrano il cielo. Già... Il Cielo! Ma che solletico potranno mai fare 2, 5 o 12 nuvole al CIELO? A quell'infinita prateria di cristallo? Quel cielo è tutto nostro, è di tutti, e sta sempre là sopra, oltre le nuvole, solido e rassicurante.

2 commenti:

  1. Quando si parla di primo giorno di scuola, in genere, si chiede ai bimbi che ricordo ne abbiano,in questa pagina invece è stato interessante leggere quali siano state le emozioni della mamma nel vedere la propria Amélie entrare in punta di piedi nel mondo che sarà poi il suo da grande. In Svizzera c'è una particolare attenzione per una sana crescita dei bambini, questo è molto confortante. Grazie per avermi fatta entrare in una realtà così serena seppur impegnativa. COmplimenti. LuAip51

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  2. ma i contemporanei sanno che brava scrittrice sei? Mi catturi, mi inebrii, quando leggo sono lì e vedo perfettamente quello che descrivi. Non posso entrare nel merito, ma la scuola svizzera è lontana anni luce da quella italiana, non necessariamente solo per responsabilità politiche.

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