domenica 18 settembre 2011

Basel 2020 - Utopia e Realtà

@ Spazio: 1999
  
Thomas Kessler è il dirigente del Dipartimento per lo Sviluppo di Basilea e ha postato un suo articolo sulla pagina settimanale (12.09.11) del blog diretto dal Ministero dell'Ambiente ed Energia. Non si tratta però del contributo di un ospite qualunque, poiché compito preciso di Herr Kessler è indirizzare la progettazione politica, ai fini del risparmio energetico e del miglioramento della qualità della vita a Basel (Cantone e Città). Incarico apparentemente arduo, visto che, per l'opinione comune, risparmio e qualità non fanno una bella coppia. Nella sua sintetica relazione, però, riesce a dimostrare che modelli di vita più sostenibili non rappresentano l'ambiziosa meta di idealisti. Non si tratta insomma di prepararsi a grandi compromessi e sacrifici. Tutt'altro. Una precisazione è però necessaria: la tecnologia non basta, ci vuole una vera rivoluzione che coinvolga ambiente, economia e società, solo dalla loro sinergia, infatti, si possono formare nuovi modelli di lavoro e di vita. 
Kessler fa un confronto concreto e molto semplice: consideriamo 2 famiglie di 3 elementi ciascuna (padre, madre e figlio) che abbiano le stesse entrate annuali, però ne dispongono diversamente, conducendo vite differenti. 
I Fischer vivono a Magden, in una tradizionale casetta unifamiliare e coprono le distanze tra casa, lavoro, tempo libero e supermercato con la macchina. 
La famiglia Müller vive nella Landauerstrasse, a Basel, in un grattacielo Minergie. [Per la cronaca: Minergie® è uno standard di costruzione, che permette un impiego razionale dell'energia, prevalentemente rinnovabile, con migliore qualità di vita e ridotto impatto ambientale. Secondo questi criteri è stato certificato anche l'ospedale pediatrico basilese, da poco inaugurato.]
I Müller, dicevamo, percorrono le brevi tratte che li separano da lavoro, scuola, tempo libero e acquisti, a piedi o con la bicicletta; per le distanze più lunghe si servono di un abbonamento generale ai mezzi di trasporto.
Vediamo che cosa cambia nelle tasche delle nostre famiglie-tipo. Sono stati presi in considerazione tre bilanci: quello strettamente finanziario, quello energetico e quello che concerne il tempo.
Il primo è quasi pareggiato, tutti infatti pagano le tasse più o meno allo stesso modo (avendo le stesse entrate), hanno un canone d'affitto e premi dell'assicurazione sanitaria (in Svizzera è privata, non pubblica come in Italia) da saldare mensilmente, le spese per la mobilità da un lato sono compensate da quelle per l'uso di energia dall'altro.
Le differenze si vedono negli altri due ambiti. Il signore e la signora Müller hanno ogni anno circa 150 ore di tempo libero in più dei signori Fischer, perché ne impiegano molto meno per raggiungere i luoghi in cui si svolgono le loro attività. Quel surplus di ore possono investirlo nel benessere singolo o familiare. Inoltre, la famiglia Müller consuma per vivere e spostarsi circa 10 volte meno CO2 della famiglia Fischer. Anche se questi ultimi vivessero in una casetta monofamiliare, energeticamente risanata e viaggiassero con un'auto da 3L, consumerebbero comunque 3 volte più CO2 dei Müller.
La morale della favola, che poi si deve tradurre in strategia urbanistica del governo, è che la Basilea del futuro prossimo deve essere una città dei percorsi brevi. Il vantaggio non consiste solo e semplicemente in un più efficiente impiego di tempo ed energia. Una città, rimodellata secondo questi criteri, prevede anche, per esempio, l'accesso diretto a molteplici offerte culturali e per il tempo libero, possibilità di assistenza extra-familiari e scuole secondarie. 
Christina Schumacher, docente di sociologia al dipartimento di architettura dell'ETH (Eidgenössische Technische Hochschule: Istituto Federale di Tecnologia) di Zurigo rileva i trends che stanno modificando l'abitare urbano. La flessibilità del mondo del lavoro, la sua informatizzazione, hanno come conseguenza la perdita di distinzione netta tra abitazione e 'ufficio', si sviluppano quindi strutture combinate, loft che fungono da appartamento e atelier insieme. In questo senso viene anche progressivamente meno il confine tra sfera pubblica e privata.
La società, inoltre, è più sfaccettata, ci sono i single 'stanziali'; i moderni nomadi del lavoro costretti all'albergo, ma che cercano il comfort ed il calore di un appartamento (e quindi Aparthotel), le famiglie patchwork, allargate... Ci vogliono allora nuove funzionalità che rispondano alle specifiche esigenze, per es. abitazioni in senso stretto, dotate però di un servizio di lobby e concierge, o modelli abitativi per specifici gruppi, come insediamenti per famiglie numerose con doposcuola integrato.
Forme di residenza nuove e più creative per ogni fase della vita, quindi, con un'attenzione particolare alla protezione del contesto architettonico ed ambientale e alla promozione della socialità. In un presente in cui imperversano social networks e realtà virtuali, che celebra isolamento ed alienazione tecnologica, la pianificazione urbanistica punta invece sul recupero del contatto umano, sulla promozione di spazi esterni. Balconi, logge, terrazze, giardini pensili, luoghi in cui godere dell'ambiente; corridoi naturali ritagliati nella planimetria cittadina e che in parte sono utilizzabili collettivamente, così da promuovere una rete di contatti, reali questa volta, che coinvolgano il vicinato di rione.
Più qualità della vita, integrazione nel tessuto sociale del proprio quartiere e allo stesso tempo risparmio energetico. Utopia o reale possibilità evolutiva?
Be' se considero come siano cambiati i miei personali stili di vita, nel corso degli anni, posso già fare qualche interessante considerazione.
Ricordo il viaggio in California, era il 1995. Per me America significa, prima di qualsiasi altra cosa: distese sconfinate, tagliate da strade gigantesche, che non fanno una curva e puntano dritte fino a perdersi nel punto di fuga della linea d'orizzonte. Una media di 8/9 ore d'auto al giorno, paesaggi che si susseguivano a seconda dell'orografia e, con essi, le temperature e le stagioni: il sole cocente o il vento, le nuvole, il freddo. E per miglia, miglia e miglia nessun segno di vita, nessun insediamento, il Niente. Una sera il mio pro-prozio (spero di aver ricordato tutti i 'pro') annunciò, allegro, che eravamo invitati a cena da suo figlio e ci caricò in macchina. Avevo un certo languorino e anticipavo col pensiero l'arrivo a casa e la festosa abbuffata; le ore però passavano, il sole era nel frattempo affogato nella tazza di caffé della notte, e della dimora del prozio nessuna traccia... Qualcuno gli chiese timidamente quanto ci volesse ancora: “Oh è vicino,” disse “meno di 200 miglia!” (quasi 300 Km...). I morsi della fame ruggivano senza pietà, così non riuscii a trattenere il sarcasmo: “Ah però... E quando devi buttare la spazzatura, che fai? Raggiungi il cassonetto più vicino a 50 Km?!”
Certo, a livelli meno estremi, ma in realtà, quando vivevo a Torino, ero felicemente auto-dipendente anch'io. Alla fine delle superiori, dopo anni di necessario ma riluttante uso dei mezzi pubblici, la patente era arrivata come una liberazione dalla calca 'puzzona' e 'sudatizza' dell'estate, dall'umidità della condensa imbottita d'inverno. Un'auto significava la possibilità concreta di prender parte ad un minimo di vita mondana, magari anche di tornar tardi la sera, senza troppa paura (un bus, la notte, non l'avrei mai preso). Voleva anche dire comodità, intimità, eventualmente musica (all'epoca l'autoradio sulla mia 126 fagocitava cassette!)

@ www.jacomet.ch/blog/
Arrivare a Basilea e ritrovarmi appiedata fu uno [dei tanti] shock[s] culturali. Era l'ottobre del 2003 e, al mattino presto, mi aggiravo stranita e incredula alla vista di un'intera città su velocipede (termine scelto non a caso: in svizzero tedesco, “bicicletta” si dice, infatti, Velo). Soprattutto sconvolgenti erano le bici delle mamme, dotate di carretto porta-pargoli (con tanto di finestrelle laterali, sacca porta oggetti, cinturine di sicurezza e via dicendo). “Questi sono matti!” Pensai. Per me la bicicletta era affare da primavera/estate, per passeggiate disimpegnate lungo Po o al Parco della Colletta, a Torino. Poi finì che una la comprai pure io e, se è per quello, quando arrivò il momento, mi dotai anche del famoso carretto porta-bimbi e comincia anch'io a pedalare con qualsiasi tempo, in ogni stagione. Vero, Basilea è piccolina e le mie destinazioni abituali (luogo di lavoro, scuola, danza, violino, canto, parco, supermercato) distano dai 3 ai 15 minuti di bicicletta. Se poi infuria la tempesta, ci sono i mezzi pubblici: puntuali, puliti e con tanto posto a sedere, va be' siamo in Svizzera, manco a dirlo. Insomma, come per tutte le cose, è questione di abitudine (e dire che le piste ciclabili qui non sono ai livelli di Amsterdam!)
Ripensando ai diversi stili di mobilità, di cui ho fatto esperienza, quello recente, basilese, delle distanze ridotte, mi permette in effetti un bilancio in positivo, quanto a tempo e consumo energetico. Poi c'è l'elemento abitativo. A questo riguardo, ho la fortuna di vivere in quel decimo di appartamenti svizzeri che sono proprietà di cooperative. Il termine esatto per definire la nostra area condominiale è 'insediamento'. A me ricorda tanto un castello medievale, ma mi dicono sempre che ho una fantasia sbrigliata. La planimetria è, però, quella di una fortezza: gli edifici sono disposti intorno ad un'ampia corte centrale, attraversata da una strada interna. Passare dal buio dell'ampio portico d'accesso, che chiude dietro di sé il silenzio della città, alla luce e alla vita vibrante del piccolo villaggio interno, mi trasforma da ciclista del terzo millennio a 'cavaliera' medievale al galoppo nella cinta protettiva del feudo.
http://www.aller-anfang-ist-begegnung.ch/z10-hof.htm
Il progetto fu affidato agli architetti Martin Erny, Urs Gramelsbacher e Karl Schneider, l'inizio lavori data al 1989 e ci vollero 2 anni per portarli a termine. Due artisti basilesi, Silvia Bächli e Eric Hattan, ci hanno poi lasciato lo zampino con installazioni nelle entrate e nelle torri degli ascensori. A Davidsboden ci vivono 400 persone, di diversa nazionalità, la maggior parte ha famiglia e la media è di 3 figli. Il principio guida è 'vita comunitaria', in integrazione con la natura. Accanto ai 154 appartamenti, ci sono 3 Kindergarten (due di pedagogia avanzata, per i ragazzini in difficoltà), 1 studio medico pediatrico associato, 2 uffici, 24 stanze per gli hobbies, 7 ateliers, 150 posti nel parcheggio sotterraneo (che ospita una società di car-sharing, la Mobility). L'idea alla base di questo progetto era quella di creare una piccola comunità in cui ciascuno prendesse attivamente parte al mantenimento e alla promozione del bene collettivo. Niente di Hippie o settaiolo, semplicemente suddivisione del lavoro: c'è chi porta fuori i cassonetti per la differenziata, chi si occupa del compostaggio, a turno si puliscono le scale, altri manutengono le lavatrici ed asciugatrici (rispettivamente una per ogni condominio, non sono private e domestiche, come in Italia) e via di seguito. I giardini, due periferici e uno interno, sono stati piantati secondo criteri precisi di recupero dell'ecosistema boschivo della regione. Come per tutte le aiuole svizzere, l'idea è che l'accostamento di piante e fiori debba risultare del tutto naturale, anzi preferibilmente selvaggio, come se l'uomo non ci avesse messo mano. Ciò non vuol dire disordine e approssimazione, anzi ricchezza e varietà studiate, ma non artefatte. La natura è dispiegata, non addomesticata. I cespugli di bacche commestibili e gli alberi da frutto rappresentano un piccolo orto urbano. Nella Loggia, una stanza comune dotata di cucina e che si affaccia sul giardino, si possono organizzare feste private ma hanno anche luogo attività spontanee dedicate a grandi e piccoli condomini: questa sera alle 17, per esempio, c'è un corso di origami. Sulla corte centrale si affaccia un bar auto-gestito, a turno, serve pasti caldi preferibilmente la sera e si tratta per lo più di specialità etniche; la maggior parte dell'incasso è destinato in genere alla beneficenza. Sui tetti c'è un impianto fotovoltaico di 500 mq che produce circa 22.000 kWh di corrente all'anno.
Ogni anno, nell'ultimo giorno delle ferie estive, ha luogo la Bündelitag Fest, la festa delle fascine, organizzata da un comitato di abitanti dell'insediamento. Tutti partecipano con le loro creazioni culinarie e ulteriori attrazioni: mercatino delle pulci, musica dal vivo, ecc.
All'epoca, un sistema costruttivo di questo tipo era pionieristico, un esperimento antropo-sociologico, ora si guarda a quell'anticipo futurista come ad una via di progresso percorribile. Credo che alla base di questo orientamento, ci sia anche la volontà di promuovere legami, di indurre l'intreccio di contatti e, nella migliore delle ipotesi, di amicizie, che offrano ai singoli il necessario tessuto umano di sostegno. Questa società è infatti più simile a quelle del nord Europa, che non al modello mediterraneo. In Italia, la famiglia, intesa come ramificazione di parentele: fratelli, zii, cugini, nonni, gioca un ruolo fondamentale nel sostegno e sollievo delle necessità dei singoli. Qui, a fare le veci della famiglia, è lo Stato, che quindi deve incoraggiare politiche di integrazione e alimentare un forte senso di appartenenza alla comunità.
Ieri sera, a proposito, c'è stata l'assemblea condominiale. Eravamo in 7 (ne mancavano 3), seduti intorno ad un tavolo imbandito con i fichi del giardino, una ciotola di arachidi, calici e due bottiglie di vino: uno rosso e uno bianco. Arrivo un po' in ritardo: il tempo di sciogliere un OKI nell'acqua per combattere un mal di testa selvaggio, l'avevo detto poco prima alla vicina che ha avvisato gli altri, così quando sono entrata mi hanno accolto con sguardi attenti e un “va meglio?” Questa minima attenzione mi ha fatto venire in mente una surreale, pittoresca, improbabile riunione di famiglia e ho sorriso. Abbiamo pasteggiato e chiacchierato, spettegolato pure, e discusso e votato i vari punti all'ordine del giorno. È stato piacevole, persino le piccole lamentele sono state gestite con delicatezza, tolleranza e buon umore. Al ritorno, ho trovato Amélie addormentata sul divano, in camera mia, con gli occhiali sul naso, jeans addosso e tutto. Un disegno coloratissimo mi aspettava sulla scrivania, accanto a lei: il libro su cui era crollata.

1 commento:

  1. mi viene voglia di trasferirmi lì, posso? Avremmo tutti bisogno di un clima più sereno come quello descritto, sono convinta che anche tanti italiani vorrebbero vivere con maggior solidarietà e amore. Mi commuovono i finali degli articoli che parlano sempre della piccola Amélie, presenza costante e importantissima nella vita. Un articolo davvero interessante, complimenti. LuAip1951

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