mercoledì 22 agosto 2012

Graffiti a maglia: quando l'arte diventa una carezza

@ Debora Cilli
Il tardo pomeriggio aveva oggi l'atmosfera seducente e nostalgica delle sere di fine estate nella Liguria della mia infanzia. Quando, dopo una giornata di caldo che t'avvolge come un abbraccio, sabbia farinosa sotto i piedi, giochi d'acqua, pelle ancora calda ingioiellata di cristalli di sale, s'addensavano le nuvole dietro all'isola in alto mare o alla catena di colline incombente alle spalle degli ombrelloni. Il cielo si faceva d'un tratto nero e noi seguivamo l'arricciarsi di quei cavalloni celesti titubando se fosse il caso di sfidarne la minaccia o abbandonare il campo. 
Per quanto il cambio repentino d'atmosfera giocasse un contrappunto non richiesto, pure la brezza ora fresca, che spazzava gli ultimi vapori assolati, aveva un fascino ipnotico. Lo stesso che hanno continuato ad avere, nella mia immaginazione, i subitanei rannuvolamenti estivi che portano con sé un silenzio sopraffatto e l'ossimoro di un clangore cromatico, ché nella macchia di buio livido, i colori risaltano di sinistra lucentezza.
Osservavo il fianco affacciato sul Reno della 'grande Basilea'. Mi ci perdo, tanto quanto, nelle serate marine, a spiaggia quasi vuota, mi abbandonavo a studiare il mare: schegge brillanti in caleidoscopico movimento, ondine e ondulne, diverse sfumature di blumarino, verdeacqua, turchese, qua e là i riflessi sfilacciati delle nuvole sull'acqua, come grossolane pennellate bianche. 
La cosa buffa di questa città buffa, è che è intessuta di richiami e rimandi a piccolezze infinitamente rilevanti della mia infanzia. Del tutto casualmente e un po' alla volta mi saltano al collo, prendendomi di sorpresa, con un nodo di nostalgia alla gola. 
C'erano piccole isole d'impagabile conforto a punteggiare la mappa magmatica del mio mondo di bambina. Messe insieme, rappresentavano l'abbagliante contenuto del mio tesoro segreto. Abitudini piccole e amate; immagini; cianfrusaglie; squarci minimi di città o paesaggi. Tutto ciò che in un indefinito tempo primordiale aveva colpito la mia coscienza e vi aveva lasciato impigliato un pungiglione testardo, che aveva trasformato la variegata insignificanza del mio scrigno in un repertorio di icone simboliche, amuleti magici, decodificabili da una etnografia squisitamente privata. 
Tra le inspiegabili sorgenti di fascino c'erano le mappe. Di qualsiasi genere. Carte topografiche, orografiche, fisiche, planimetrie.
@ Debora Cilli, mappa 2011
In special modo cittadine, meglio poi se pesantemente naïf, poiché suonavano familiari alla mia natura immaginifica. Spesso, sui libri di scuola, specie in quelli dei compiti per le vacanze, capitava un capitolo che coinvolgesse una stilizzata pianta cittadina. Ancora oggi, quando ne incontro una in qualche volumetto scolastico di Amélie, mi blocco, cerco di attirare la sua attenzione con un marcato “Guardaaaaa!” e poi parto alla scoperta del labirinto di strade e dei suoi dettagli. Ne ho anche disegnate molte, di mappe. E anzi, a ben pensarci, ne schizzo spesso e volentieri qualcuna ad amici e parenti che abbiano bisogno di delucidazioni stradali.
@ Debora Cilli, mappa 2012
La mia specialità ultimamente sono le mappe pirata che, ogni tanto, Amélie mi commissiona, l'ultima però è finita male: in un impeto di verosimiglianza ho provato ad anticarla imbrunendo la carta al calore di una candela e l'epilogo è stato un mucchietto di cenere nel lavandino... Ma sto divagando.
Basilea, in particolare i due fianchi affacciati sul fiume, ha il profilo stilizzato di un'illustrazione cartografica fumettistica. La veduta cittadina che fronteggia la mia panchina, mi ricorda quelle pagine di sussidiario della mia infanzia, sulla cui superficie patinata si riassumeva il cuore di una pianta urbana: le guglie della stazione, il campanile della chiesa, un lembo di fiume, il tram e un paio di semafori, lo scuolabus, il gelataio, la signora con il cane, il bambino in bici, un nonno sulla panchina del parco con pipa e giornale. L'albergo più elegante ed il chiosco dei quotidiani, lo scorcio di un monumento equestre, il municipio, la scuola, l'ufficio postale.
Qui in più ci sono le chiatte cariche di mucchi di sabbia, ghiaia e pietrisco, poiché il Reno è un fiume di transito merci e può capitare, variabile poetica, che ad incorniciare la scena contribuisca il volo casuale di un passerotto o il ricciolo soffice di una coda di scoiattolo.
@ Debora Cilli, Lungoreno
In più, due mesi fa, qui c'era anche un ponte molto speciale che, all'epoca, nella mia enciclopedia sentimentale della geografia cittadina, ribattezzai 'ponte coccolone'. 
È il Wettsteinbrücke, qui a sinistra della panchina su cui siedo, le cui tre arcate metalliche si allungano sul fiume come un morso di coccodrillo ingordo. Sabato 9 giugno 2012, una sciarpa di lana lunga 700 m trasformò quest'opera d'ingegneria 'qualsiasi' in un ponte graffitato, a maglia. L'idea venne ad un'artista, Kathrin Stalder, ed è di quelle [in apparenza] un po' oziose, gioiosamente creative e fine a se stesse, che un'idealista romantica impenitente, come me, compra a scatola chiusa. 
Per realizzare il progetto, “BaselfarbARTig verstriggt” (letteralmente: “Basel lavorata a maglia in modo colorato”; in cui il participio passato è in svizzero e il termine 'Art', che in tedesco vuol dire 'modo, maniera', qui gioca con l'inglese e allude al valore creativo dell'opera), c'è voluto un anno ed il lavoro paziente di quaranta volontarie ed un volontario.
@ K. Stalder, Mitstrickerinnen aus Muttenzer Kurve
Lo sferruzzo ha avuto episodi eroici, degni di un'Odissea domestica, stile Penelope: come quando, lungo le strade di Muttenz, paese del cantone confinante 'Basilea campagna', si sono progressivamente allungate le lingue di magma del tappeto multicolore ed un banchetto prometteva il meritato rinfresco al termine della cucitura delle diverse losanghe. Il risultato è stato la scusa di innumerevoli deviazioni e passeggiate da parte di tutta la cittadinanza basilese e il ponte, in genere attraversato con noncuranza frettolosa, è diventato per due mesi (uno d'autorizzazione originaria, il secondo di proroga) un punto d'incontro, di scambio, di piacevolezza tattile e visiva, di ammirata sorpresa.
@ Debora Cilli
Non si poteva resistere alla tentazione di farci scorrere le mani sopra a tastare le sporgenze delle decorazioni floreali ed animali (l'elefante, le coccinelle, fiori, pesci, serpentelli), a sondare la morbidezza degli intrecci lanosi.
@ Debora Cilli, Basel, Wettsteinbruecke 2012
A lode di tutti sia detto che l'opera d'arte si è preservata pressoché intatta durante il tempo di esposizione, unici vandalismi: la proboscide dell'elefante, tagliata e le coccinelle, volate via. 
E mentre, ora che le vacanze sono finite, la Stalder si è rimessa al lavoro con una nuova idea e cerca lavoranti e sponsors (a chi fosse interessato lascio la sua email: baselfarbartigverstriggt@bluewin.ch), io ripenso a quelle due morbide maniche di gigante, piegato sulle due sponde della città che mi ricordano i maglioni che faceva mia nonna con un braccio irrimediabilmente troppo lungo, tanto da mimare (a voler riciclare il pullover allo zoo) un collo di giraffa. È che forse a quell'ora di sferruzzo le maglie avevano offerto trama e ordito al dramma di un film in bianco e nero e la tarantella delle mani agili bilanciava con un buon senso fatto di gesti pratici le indulgenze romantiche degli occhi lucidi e delle frequenti tirate su col naso. 
Aveva i periodi creativi, mia nonna, come qualsiasi artista degno di questo nome. C'è stato il rombismo, il paralleismo, lo striscismo, l'informale che mischiava di tutto un po', il colorismo che in una coperta buttava tutta la tavolozza dei suoi gomitoli. Ma sempre, qualunque fosse la corrente in voga sul momento, c'erano problemi con le misure: una coperta da letto matrimoniale che avrebbe facilmente avvolto l'intero baldacchino – ad avercelo... – una sciarpa per me che si sarebbe potuta drappeggiare intorno ad un collo di Modigliani; lo scialle per la bambola che pareva una tovaglia da pic-nic... 
Ricordo le ragnatele di lana che ingombravano il salotto di casa sua: un groviglio di cavi del tram in cui mio nonno s'infilava stoicamente con le braccia levate a farne l'orgoglioso pantografo. Così offriva supporto umano allo sbobinamento dei gomitoli del negozio da cui, in un secondo tempo, avrebbe ricavato nuove matasse addomesticate. 
Intrecci di multicolori palle avvoltolate, facciate di case e squarci cittadini: le sue sciarpe e le mie mappe, mani che svolazzano leggere armeggiando ferri da maglia o matite, caos vitale, demiurgica entropia che covano embrioni di Perfezione. 
C'era un programma televisivo che, seppur sbirciato raramente (di tv ne ho vista davvero pochissima da bambina e gli ultimi 6 anni di astinenza hanno compensato una leggera abbuffata adolescenziale e di prima età adulta) era riuscito ad affascinarmi moltissimo, tanto che ancora lo rammento. Sullo schermo campeggiava un personaggio femminile, che infilava fiori dallo stelo lungo, lunghissimo, in un vaso di cristallo. Apparentemente scopo del programma era spiegare ai telespettatori come si decorasse un centrotavola floreale da concorso. Io sgranavo gli occhi con languore davanti a quella successione di movimenti lenti, studiati, calibrati, mirati alla composizione di una perfezione armoniosa e immobile. Ogni stelo s'infilava al posto giusto, con millimetrica precisione e studio della simmetria. M'immaginavo di prendere il suo posto, della signora intendo, non dello stelo. Mi vedevo dietro quel tavolo che nascondeva un tesoro di fiori e ne infilzavo i gambi slanciati con altrettanta, saputa, grazia. “Non deve essere difficile,” pensavo. “Non può essere poi così difficile!” 
Gladioli come origàmi. Un cartoccio di foglie geometricamente perfetto. Credo di essere stata convinta, per molto tempo, che la perfezione risiedesse appunto in una cristallizzazione idealizzante, non una macchia, non uno sbrego, colori vividi, nessun alone d'appassimento... 
Poi è passato del tempo e mi sono dovuta ricredere: Perfezione, ho scoperto essere per me, la casuale e disordinata mescolanza di un po' di tutto. Non sono quei mazzi televisivi di gladioli immacolati, la perfezione, bensì, per esempio, le aiuole svizzere, che rifuggono la simmetria e la compensazione dei colori complementari, per farci tuffare nell'abbraccio di una cacofonia di varietà selvagge. L'idea è che i giardini di città riproducano la spontanea ricchezza dei prati selvaggi, della natura scampata al tocco normante dell'uomo. Perfezione è di tutto un po'. È un'istantanea del riquadro di città che mi sta davanti, lo scorcio, la vista che ho dalla panchina. È Kunterbunt, come dicono qui, variopinto. C'è un canoista che scivola rapido sul Reno; gazebo bianchi sotto gli alberi che ombreggiano la costa; un tram che sferraglia sul ponte, nuvole che il vento appiattisce alla base – la loro tridimensione di panna montata si appoggia su un pavimento di cielo che fa da coperchio alle nostre teste; biciclette, campanile, gru, facciate medievali, chiatta commerciale, il sottofondo sonoro (3 lingue diverse in 3 minuti) e aiuole di magnifici fiori selvatici, scelti con studiata sapienza. Aggiungeteci le fasce arcobaleno di due mancorrenti di lana e non potrete che concordare con me.

5 commenti:

  1. anche questa volta hai aggiunto qualcosa all'immaginario di chi ti legge rendendolo reale e vicino. Incredibile quante manifestazioni di fantasie diverse e accattivanti si possano cogliere e tu sei molto delicata nel tracciare questi profili. Sono sempre stata una tua fan e auguro che il tuo lavoro sia apprezzato. LuAip1951

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  2. ricami per ricami, il suo scritto è veramente un ricamo multicolore di descrizioni mirabili e d'effetto. Ma come fa? Dove prende tutte le immagini e le rappresentazioni che traduce in parole? Dalla realtà intorno a sè, per carità, ma concederle ai lettori in tale forma............ Caspita, più leggo i suoi scritti e più me la vedo sprecata in qualsiasi altra attività che non sia produrre inebrianti parole, pensieri, storie. Ester Manolino

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  3. Grazie, Ester, di cuore! Non riesco a scrivere più di questo: quando leggo i vostri commenti mi mancano le parole... :-)

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  4. Cara Debora, mi dispiace contraddirti, ma quella, proprio quella, è la mia panchina! è li che vado appena esce il sole ad ascoltare i segreti del Reno, del monastero e del cielo...
    Hai una bellissima penna romantica e d'altri tempi...magari ci vedremo alla panchina

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    1. assolutamente sì, è una panchina tattica quella, un po' discosta dal passeggio-struscio-viavai lungo fiume, invita al pensiero che scivola agile sulle pieghe d'acqua. Chi arriva primo dovrà far posto all'altro, allora :-)

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