venerdì 4 maggio 2012

Il tempo e la filosofia del calzino spaiato

@ Debora Cilli, Orologio senza lancette, Le Marais, Paris 2007
Mi sono dovuta rassegnare alla constatazione che il mondo è troppo veloce per me. Non “sia (troppo veloce...)”, congiuntivo: tempo opinabile dell'ipotesi, regno volubile delle probabilità; ma indicativo presente (e pure categorico), “è”.

Ruota sul suo asse a rincorrersi la coda con l'accelerazione di un ottovolante impazzito e il tempo gli sta dietro, il respiro sul collo, uno sghignazzo sadico sfilacciato dalla velocità.

Lo so che è un proposito ossimorico, ma procediamo con calma. Avevo tre articoli in mente, a tema “carnevale”, “ora legale” e “coniglio pasquale”, rispettivamente e non ne ho preso per tempo neanche uno... Ora non mi resta che il piacere un po' sterile di metterli in fila e arricciare un sorriso ebete al rintocco della rima. Frustrante, non c'è che dire, ma procediamo con ordine.


Se chiedete ad un basilese quali siano i più bei giorni dell'anno – in svizzero-tedesco “die drey scheenschte Dääg” (die drei schönsten Tage), non avrà dubbi: quelli del Fasnacht, il carnevale locale, il più grande della Svizzera, che cade, spernacchio protestante al cattolicesimo, in piena quaresima. Quest'anno il 27, 28 e 29 febbraio, ma sempre dal lunedì al mercoledì.

Sono passati due mesi e l'attualità è sfumata, ma questo link di foto è per coloro a cui non dispiace la differita. Così non saprete della vestizione dei “Tre Re”, le statue che sovrastano il portone dell'albergo più bello della città. Il giovedì prima della festa un comitato carnevalesco invade il centro a sirene spiegate e, sotto gli occhi sgranati dei bimbi degli asili che sempre assistono all'evento, leva un braccio meccanico da una camionetta bombata nera. Una volta sospeso in alto, un manipolo di figuri goliardicamente dispettosi traveste i Magi con gli abiti della maschera classica basilese e così il Drei Könige diventa per tre giorni il Drei Waggis Hotel.

Vi siete persi anche tutta la storia delle 'lanterne', perché di lanterne si tratta non di carri. Di lanterne si armano, infatti, le varie clique alle 4 del mattino del lunedì, per il Morgenstreich quando le luci dondolanti, il rombo dei tamburi e il lamento sottile dei flauti spezzano le ultime cortine della notte, segnando l'inizio della festa. Le Laterne in passato erano dipinte da artisti locali e avevano un forte impatto politico e di critica sociale, recavano scene ruvide, rozze, sarcastiche, a volte persino violente così come iroso è il personaggio principe del carnevale basilese: il Waggis, appunto. Caricatura del paesano delle circostanti valli dell'Elsass, con la chioma folta e selvaggiamente ritta in testa, vestito di tela grezza a colori sgargianti e zoccoli di legno. Raccoglie in sé tutti i cliché che, per i cittadini imborghesiti di Basilea, rappresentavano i campagnoli incolti e bruti, che venivano in città una volta a settimana a vendere frutta verdura, latte e uova.

La satira è ancora un ingrediente di cui si fa uso a piene mani, ma si è persa la potenza evocativa di materie prime grezze e arnesi di fortuna del passato, quando la creatività povera di mezzi sapeva trasformare in icona evocativa e strumento musicale qualsiasi oggetto d'uso quotidiano. Altra grande protagonista è, infatti, la musica perché sono vere e proprie orchestre quelle che si sfidano per le strade in labirintici percorsi sonori. E la musica ti danza nella pancia, scende a solleticare le gambe e scoppia nei piedi che devono arrendersi al ballo.

Poi siamo saltati da quel gioioso tip-tap al tic-tac dell'ora legale che, a partire dall'ultima domenica di marzo, ci ha tolto un'ora di sonno. Anche quella pagina di calendario è ormai stata strappata e non saprete mai della querelle sul “Basler Zeitung” (il quotidiano basilese) tra 'Apocalittici e Integrati', per dirla alla Eco, tra chi nel Sommerzeit (ora estiva, come si chiama in tedesco) vede una tragedia superflua e inutile che contravviene alle regole dell'universo, poiché ne minaccia il continuum spazio-temporale e chi, invece, accoglie entusiasticamente l'atmosfera mediterranea che dal 1981 si respira anche in riva al Reno e ne elenca, con anticipato godimento, i vantaggi: grigliate del venerdì sera, partite a calcio al tramonto, prolungato ozio serale in piscina. Questa corrente epicurea indugia nelle reminiscenze storiche elogiando il parlamento che annullò un referendum popolare del 1978, in cui gli svizzeri si erano espressi contro il cambio dell'ora, e fa un po' di eziologia. Pare che la Svizzera, e Basel in particolare, siano state le vere antesignane dell'ora legale. Furono, infatti, i partecipanti al concilio cittadino, in carica negli anni 1431-1449, a decidere di spostare in avanti le lancette dell'orologio della cattedrale: trovata ingegnosa per accorciare le sedute e godersi in santa pace il pranzo.
L'intervista a Bernadette, miss mucca-pezzata dei quattro cantoni, che vanta un record di 7.000 Kg di latte all'anno e, forse in virtù di quello, lamenta l'anticipo di un'ora della mungitura ve l'avrei risparmiata e anche ora sorvolo. Solo, se da qualche settimana la tazza mattutina ha un retrogusto amaro, non rammaricatevi e abbiate invece compassione.
Così tante inutili curiosità avete perso per via di questo tempo maratoneta!
@ Debora Cilli, Basel 2012

E poi la primavera che, con la casuale levità di un paracadute di soffione, ha sconfitto gli ultimi testardi rigori ed è scoppiata in un tripudio di smeraldo.
Già, la primavera e la sua silenziosa irresistibile forza, di questo avrei anche voluto parlare. Di come, alla fine di ogni inverno, in balia degli estremi colpi di coda di freddo, mi ritrovi a disperare in un filo di sole. Guardo gli alberi secchi e congelati, i rami d'un marrone cupo e diffido possa ricrescere la vita. “Quest'anno non ce la farà” penso ogni volta e un po' ci credo. Il contrario sarebbe davvero miracoloso. E invece poi l'impossibile accade e spuntano tutte insieme, inaspettatamente, migliaia di millimetri di foglie e steli verdissimi. Una tenerezza neonata, silenziosa, fragile che vince, con la sua caparbia ineluttabilità, il letargo della similmorte invernale e le fa scorrere ancora una volta la vita dentro. Può capitare, quella forza discreta, quella timidezza potente, di riconoscerle negli occhi di qualcuno. Sono scoperte che tolgono fiato. Miracoli di primavera...

Dai tappeti di germogli ai conigli pasquali (Osterhase, in tedesco) il balzo è breve... Leprotti anzi, e non in salmì, ma di cioccolato! In quest'epoca, infatti, nei paesi di lingua tedesca, un fantastico quadrupede orecchiuto, simbolo della rinascita della natura e della fertilità, lascia doni per i bambini. La tradizione che celebra la stagione del risveglio ha finito per mescolarsi alla festività della Pasqua cristiana, così che al lunedì dell'angelo i piccoli sono impegnati alla ricerca della lepre di cioccolato, in genere nascosta tra i primi fiori del giardino di casa. Poiché il nostro giardino è una selva “selvaggia e forte” e di coniglietti (veri) bucolicamente saltellanti ne ospita già qualcuno, ho deciso di nascondere l'orecchiuto-dentone-croccante nella vaporiera, in cucina. Rifugio balzano, lo so, ma che gusto a cercarlo!

Così, l'avete capito, i mesi sono volati e hanno risucchiato nella scia della corsa anche le bozze dei miei articoli per il blog, lasciandomi con un'espressione di costernato stupore e una manciata di petali in mano. Già, perché pure del rigoglio delle magnolie avrei voluto parlare e invece niente: anche quelle sono sfiorite e si sono sfilate i veli di chiffon per calzare ciuffi di foglie che ormai guardano all'estate.
Il fatto è che il mio sistema operativo – quello umano, non l'appendice apple; viaggia secondo criteri che privilegiano decisamente l'hardware al software. Mi spiego per gli analfabeti informatici (di cui faccio giullarescamente parte, sebbene con la presente millanti il contrario...): l'attività di pensiero è tanta e tale che l'elaborazione di quei dati interni rallenta, quando non intralcia, l'installazione di programmi esterni. Nella mia testa sta uno chef cuisinier saccente e pretenzioso che s'inabissa nella preparazione delle sue vivande cerebrali, un'apnea creativa, un viaggio orgiastico negli odori e nei sapori, volute di aromi, mazzi di spezie... E nel suo gioco solipsistico finisce per escludere categoricamente il mondo di fuori. Quando l'ebbrezza passa e il capocuoco riemerge dai fumi del delirio demiurgico, si risente della solitudine e lamenta con petulante rammarico di essere stato, a sua volta, respinto. E stupisce che il treno del mondo abbia continuato a correre, invece di fare la muffa in stazione aspettando i suoi comodi. Nel racconto di Buzzati, “Direttissimo”, il protagonista è lanciato a rotta di collo su una locomotiva dalla potenza taurina, verso una destinazione favolosa e macina sentimenti, affetti, incontri, la sua intera vita, in una corsa cieca verso il nulla; io, che di quel vapore ho paura, lo guardo sfrecciare dalla banchina, con il rimpianto di non riuscire, non a saltarci sopra, ché sarebbe troppo, ma anche solo a descriverlo, tanto fila in uno stridio di metallo.

Eppure non voglio arrendermi alla sua corsa, per quanto un compromesso sarebbe rinunciare a trasmettere idee e pensieri e limitarmi ad una lista di aforismi illuminanti, titoletti concisi e ammiccanti, perle di equilibrismo linguistico che alludano al contenuto che manca, perché non si è avuto il tempo di scriverlo e, tanto meno, si avrà il tempo di leggerlo. Gradisce un assaggino? Prevedo un Futuro in folgorante sintonia con questa smania di correre che gli esseri umani imprimono al tempo. Solo più raggi di luce avremo, ad inondarci il cervello di stimoli cognitivi, lo scibile cosmico del “qui-e-ora” verrà assimilato in un nanosecondo, così che si possa continuare la corsa, sperando, affannati, di recuperare quel nanosecondo perduto...

Una possibilità di salvezza da questo scenario psico-delico forse ci sarebbe... Per carità, si tratta di tracce, indizi apparentemente innocui, ma potentemente significanti. Ve li elenco, poi giudicate voi.
Ho scoperto, ma lo dico in un sussurro, che ci sono nicchie nascoste in cui il tempo languisce, addirittura muore e, cosa ancora più curiosa, si adagiano proprio al fianco di quelle autostrade rombanti che segnano la frenesia della nostra vita. Ci sono, per esempio, azioni 'senza tempo' che si ripetono sempre uguale a se stesse. A volte, lo ammetto, la loro ripetitività, mette i brividi, dà una vertigine di sgomento.
Tutti i martedì ed i venerdì, tra le 12 e le 12,15 porto il paniere del pranzo ad un'anziana signora quasi cieca. Controllo che i contenitori siano chiusi bene, in particolare quello della zuppa, poi m'incammino, novella Cappuccettorosso. Lascio dondolare il cestino con un gioco di polso che mi ricorda tempi lontani di bighellonate infantili, poi accedo al cortiletto, lancio un'occhiata all'albero alla mia destra e ne registro mentalmente la scansione stagionale, appoggio il piede sinistro sullo scalino, suono il campanello al piano terra, poi mi avvicino al bow-window poco più in là. Frau Pflug mi aspetta, seduta dietro alla finestra. L'altro cesto, quello vuoto, è anche lui in attesa sul davanzale e lei, che è un po' sorda, scorge il mio arrivo dal movimento di levitazione del paniere, perché sa che toglierò il suo per posare il mio, pieno. Lei allora aprirà l'anta e allungherà il braccio con un sorriso: “Buon giorno Frau Pflug!” - “Buon giorno, Debora.” Vorrei dire tante cose in quell'istante sospeso e presumo anche lei, per quanto laconica impenitente; me lo dicono i suoi occhi che guardano lontano eppure mi abbracciano. Per quanto non articoli più che un “buon appetito e buona giornata”, sento galleggiare nell'aria lunghi, piacevoli discorsi sulla vita, lei che mi racconta della sua giovinezza e della sua caotica famiglia e la storia di quella casa e delle generazioni che l'hanno abitata. Me ne vado con il paniere vuoto, sfioro i rami della pianta che mi ricorda che il tempo, fuori della nostra nicchia privata, continua a scorrere e realizzo che, l'ultima volta, ho dimenticato di accostare il naso ai fiori per assorbirne il profumo. Ora non posso più farlo, ché si sono sgranati.
Rileggete gli ultimi paragrafi e vi sarete fatti un'idea vaga di cosa sia un'isola atemporale (a- privativo, dal greco antico, toglie valore alla parola a cui si appizza come una zecca).

A Basilea di rifugi del genere ne ho scoperti un po'. Qui inoltre, a farci attenzione, si svela un controtempo sconcertante. Gli istanti in cui si svolgono gli eventi smettono, ad un tratto, di marciare in ordinata successione e si arrotolano in spire, come le volute di fumo del gatto di Alice, come serpenti sonnacchiosi. Così capita addirittura di poter tornare indietro; basta un solo passo per retrocedere di qualche casella e fare un piccolo viaggio nel tempo. Due sabati fa, per esempio, in piena festa dei mercati cittadini, una banda ha intonato le note classiche del carnevale e le strade del centro risuonavano di flauti e tamburi, che non si poteva fare a meno di pensare al glorioso swing del Fasnacht.

Il tempo naturale ha poi altre polle di stagnazione, dense, lucide, iridescenti come gocce di mercurio. Quelle sfere di coagulo temporale, me le sento sospese sulla testa, come cupole di leggerezza interrogativa, quando mi avventuro nel bosco di Allschwil.
Entro e le lancette si bloccano, se fosse un disco, la puntina raschierebbe sempre lo stesso graffio sul vinile.
Il tempo qui non ha giurisdizione, si fanno carico del suo scorrere il fiume e gli uccelli, che con clangore da foresta scandiscono le fasi del giorno con canzoni ora pigre e nostalgiche ora frementi di gioia frizzante.
Nel silenzio tecno-umano il tempo si ferma, non ci sono orari di partenza e di arrivo, corse, ritardi, la frenesia quotidiana, i suoi doveri, impegni decadono e il centro del mondo diventa lo stelo di un ranuncolo o la curva del collo del germano addormentato sulla riva o il volo a pelo d'acqua di una libellula, nient'altro conta. D'altra parte, di fronte a tale immensità, come potrebbe?

Era il 02 aprile 2009 – sarà che la primavera ispira... – quando scoprii, a Basel, una prima nicchia di ristagno temporale, ma allora ancora non lo sapevo. Riporto qui di seguito il diario di bordo di quel magnifico giorno.

“Oggi al supermercato è successo qualcosa di straordinario. Almeno per me.
Vagavo di fronte allo scaffale della pasta. Lo scaffale della pasta, in un supermercato svizzero, generalmente occupa non più di 2m di lunghezza e 1,60 di altezza. Ospita dalle 5 alle 7 varietà di pasta Barilla. Un paio di De Cecco e 3 varietà di una sottomarca locale, all'uovo e grano tenero, che notoriamente si spappola poco dopo l'immersione nell'acqua di bollitura. Da qualche tempo hanno introdotto la pasta integrale, ma nessuno pare essersene accorto...
Il mio 'pasta moment' è uno dei pochi Amarcord italiani che mi concedo. Staziono di fronte allo scaffalino e frugo le ben note, limitate, varietà, sognando Bucatini, Reginette, Ziti, Gemelli, Strozzapreti ed Orecchiette, così, tanto per...
Ma oggi qualcosa è successo. Oggi un piccolo groviglio ha ostruito il ripetitivo meccanicismo di quella catena di montaggio di atti necessari e insignificanti che a volte fanno la nostra vita. Nel consueto ritmo bovino TUFFF-PAN TUFF-PAN TUFF-PAN si è infiltrato un metallico e assordante SDEEEEENG! Qualcuno lo chiamerebbe una smagliatura nel matrix.
@ Debora Cilli, Basel 2009
La mia amatissima smagliatura di oggi è un apparentemente innocuo pacco di pasta che promette un contenuto e poi ne mostra un altro. Un fantastico cartone che dichiara a chiare lettere maiuscole bianche PENNE RIGATE e che, suo malgrado, ospita una nidiata di gnocchi che sgomitano e si accalcano contro la finestrina trasparente, per condividere la loro burla con il mondo.
Mi sono innamorata di quel pacco boriosamente ignaro e del suo inaspettato contenuto. Tanto che l'ho comprato, l'ho fotografato e penso non lo aprirò mai.
A volte la terra si ferma, fa un mezzo giro nella direzione opposta, e poi riparte. E in quel mezzo giro c'è tutto un magnifico cosmo d'irregolare ed eccentrica, maestosa bellezza.”

Guerra di macchia, dunque, terrorismo temporale: la salvezza è là, nello scarto dal consueto, poiché il colpo di coda improvviso che allontana dalla via maestra per sperimentare nuovi percorsi scatena inevitabilmente una valanga immobile d'interrogazione sospesa, uno stupore cosmico e in quel secondo di titubanza c'è abbastanza spazio per iniettare una piccola dose di antidoto. Laddove il castone che intrappola la successione di secondi, minuti e ore si allenta, in quei passaggi ci si può rifugiare a respirare, come fossero camere di decompressione, e a creare.
L'ultimo, supremo artificio per vincere il matrix, il colpo di genio da prestigiatore, me l'ha insegnato la mia piccola Amélie. Lei, che come tutti i bambini, la sa lunga, perché nel grembo della natura primordiale ancora largamente ci si crogiola e di invenzioni fantastiche se ne intende, mi ha svelato il trucco in sordina, un mattino di questa novella primavera. È arrivata in camera mia con un sorriso furbetto e lanciando ripetute occhiate significative ai suoi piedi. L'epifania mi ha sorpresa e invasa di gioia: ai piedi aveva due calzini spaiati. Per qualche strana alchimia, un piede delle coppie di calzini suoi, ora il destro, ora il sinistro, finisce immancabilmente per perdersi durante il processo di lavaggio. Immagino esista un'isola delle calzette perdute, forse entro la galassia di un tamburo di lavatrice, ciascuno unico nel suo genere, coloratissimo e a misura peculiare, una comunità raffazzonata e casuale di profughi erranti ma eternamente felici. L'avo di questa dinastia di filati di cotone ha trovato un nuovo impiego, come custodia del mio cellulare (e riscuote un notevole successo), dal secondo esule in poi Amélie ha cominciato a sperimentare combinazioni ardite, accostamenti cromatici inusitati, provocatorie sfide di trama. E così i suoi piedini da elfo possono, di volta in volta, calzare il modello che più si confà al loro umore. Gemelli omozigoti, sì, ma dalla personalità smaccatamente indipendente.
Penso che ci costruirò intorno un intero sistema filosofico...
Così, mentre la corsa frenetica del tempo si ferma, curiosa, a guardare i giullari arditi che la sfidano passeggiando in direzione opposta, io mi godo quell'attimo di sospensione. E il bello è che quando il mondo di fuori tace, si è obbligati ad ascoltare quello di dentro.
@ Debora Cilli, Arte è Resistenza

5 commenti:

  1. come sempre perdersi nei tuoi scritti è come tuffarsi nella realtà che racconti. Una valanga di emozioni vissute da te e alle quali sento di partecipare anch'io sebbene non presente. Il tuo modo di scrivere tocca sempre il cuore. Bravissima. LUAip51

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  2. Sono senza parole per lo scritto di Debora e sono rammaricata e stupita che ciò che produce non sia pubblicato, pur sapendo che non sempre coloro che riescono a pubblicare sono effettivi scrittori. Sa cogliere particolari che sfuggono ai più e sa proporli in modo forbito, spiritoso e poetico o tutti e tre insieme. In certi punti non è pane per tutti, il suo lessico è impreziosito da perle di conoscenza, competenza. La sua sensibilità e la sua personalità sono notevoli, come emerge dalla massa!

    Fa invidia la sua possibilità di ricorrere a dovizia di particolari, la sua capacità descrittiva con tocco personalizzato. E' capace di trasferire il lettore dove indica lei, dandogli gli elementi per parteciparvi, almeno mentalmente ed anche di spingere alla riflessione.

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  3. lasciate senza parole me! Grazie :-)

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  4. Ormai non mi stupisco più delle emozioni sentimentali e intellettuali che mi provocano i tuoi scritti,perchè sono sempre eccezionali ed al di fuori delle melense considerazioni a cui siamo abituati in questi tempi.Grazie Salvatore

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  5. Grazie per i tuoi scritti,sono un piacere per l'intelligenza,un sospiro per i sentimenti ed un solletico lieve per l'orecchio.Ciau

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