domenica 15 gennaio 2012

Museumsnacht: un venerdì 13 surrealista

@ Fondation Beyeler, Surrealismus
Sabato, a pedalare verso il centro, c'era da alzare gli occhi per cercare l'origine di quel fitto nevischio che bagnava le guance con tocchi visibili solo nei riflessi liquidi del controluce. Sopra la testa: un azzurro sbiancato dal sole abbagliante, l'aria ghiacciata che ti avvolge il viso con un soffio da pista da sci, ma neanche una nuvola. Eppure una farina bianchissima brillava al chiarore del mattino, depositata, a manciate sparse, sui tettucci delle macchine; sui sellini delle biciclette; sul metallo giallo delle cassette postali; sulle tegole spioventi, a far da sciarpa candida agli abbaini. Così ho pensato ad un genio burlone che distribuisse a casaccio prese di zucchero a velo, senza neppure cercare il nascondiglio di una nuvola. Una mattina limpidissima che meritava di essere spolverizzata da quella benedizione di cristallo: giusto epilogo di una notte speciale. Le ruote accarezzavano la strada deserta con un fruscio che stuzzicava il silenzio: meritato riposo di una città intera che venerdì sera si era riversata nelle strade, sui tram, sugli shuttle appositi, per festeggiare il nostro annuale capodanno della cultura: la notte dei musei.  
Dalle 18 del 13 gennaio alle 2 del mattino dopo, 30 musei e 7 istituzioni, in 3 paesi (Basel (CH), poi i confinanti Saint Louis (F) e Weil am Rhein (G)) avrebbero aperto le loro porte al pubblico ed offerto un programma di 'extras' specialmente concepito per quella sola notte. Mostre, visite guidate, ma anche letture, concerti, workshops per bambini, gare culturali, giochi a premi e perfino sorprese culinarie: un evento straordinario che quest'anno non mi sarei persa!  
Per amor di precisione un accenno anche a cifre e logistica: entrata libera per bambini e ragazzi fino ai 25 anni, per gli altri biglietto 'una tantum' da 20 Fr. (16,57 €) che garantiva accesso a tutte le iniziative nonché viaggi gratis illimitati sulla rete tranviaria e sui 7 percorsi aggiuntivi dei bus-shuttle che collegavano i singoli eventi (nonché valido sui traghetti che attraversavano il Reno in punti strategici permettendo di tagliare fuori il traffico e ridurre le distanze).  
Quella che, già di per sé, sarebbe stata una piacevole girandola di esperienze, con una bambina di 7 anni, prometteva di trasformarsi in un'imprevedibile avventura. Sì, perché per la prima volta ho coinvolto Amélie; per quanto immaginassi che questo avrebbe precluso le ore piccole, pure volevo condividere l'esplorazione con lei. Armate di braccialetto-biglietto di carta, uno zaino con i viveri, macchina fotografica, penna e notes, siamo salite sul primo tram alle 17,50 in punto, direzione: la Fondation Beyeler, a Riehen. Il museo è uno scrigno ideato da Renzo Piano che racchiude gioielli d'arte moderna e contemporanea, frutto del lavoro di Ernst Beyeler, gallerista e amante di capolavori. Alla sua collezione privata permanente, che comprende opere di Van Gogh, Lichtenstein, Bacon, Monet, Braque, Picasso, Mondrian, Giacometti, Seurat, Klee, Rodin, Matisse, Calder, Degas, Chagall, si affiancano esposizioni temporanee e, fino a fine gennaio, ospite d'onore è il “Surrealismo a Parigi”.
@ Man Ray, Members of the Bureau Central de Recherches Surréalistes, 1924
Con il nostro braccialetto blu abbiamo svicolato la coda alla biglietteria, dribblato il cul de sac al guardaroba (dove ho chiuso giacche e bagagli) e abbiamo raggiunto a passo svelto il banchetto del “Wer ist wo?” (lett. “Chi è dove?”) per iniziare la caccia al tesoro! Il gioco consisteva nell'appuntarsi al maglione una spilla, scelta a caso tra tutte quelle disponibili, che ritraeva una porzione di 3x2 cm di un'opera d'arte esposta; cercare di scoprire, da quella magra traccia, a quale quadro e a quale autore appartenesse e poi trascrivere le informazioni su un cartoncino appositamente fornito in accompagnamento di una matita caran d'ache (gli Svizzeri sanno promuovere i loro prodotti anche nei momenti più improbabili!). Alla seconda stazione del percorso ci hanno accolte cappellai matti che hanno deposto, a investitura poetica, una bombetta magrittiana sul capo di ogni visitatore, che superasse o meno il metro d'altezza. Così la marea indistinta e internazionale di cui facevamo parte, attraversato con quel gesto simbolico lo specchio magico che separa realtà ed immaginazione, si è d'un colpo trasformata in un'omogenea moltitudine di teste d'uovo nero-velluto, anonima ripetizione dello stesso stampo, inconsapevole performance surrealista vivente. Ci siamo lasciate risucchiare dagli spazi luminosi e abbiamo gironzolato con sguardo avido e ammaliato; per Amélie poi scoprire da dove venisse il suo cerchietto verde muschio con un occhietto rosso e uno nero è diventato presto un affare di stato e sollevava la sua spilla per confronto, di fronte ad ogni singola opera. In quella festa della vista e dell'anima troppe e magnifiche sono le cose che abbiamo visto, ne cito qualcuna, che ho annotato da sotto la mia bombetta: Francis Picabia, Mardi Gras, 1925; Max Ernst, Un peu de calme, 1939 e Fleurs de neige, 1929; René Magritte, La clef des songes, 1927.  
@ Francis Picabia, Mardi Gras, 1925

@ Max Ernst, Un peu de calme, 1939

@ Max Ernst, Fleurs de neige, 1929

@ René Magritte, La clef des songes, 1927
Mi ha fatto anche sorridere una buffa citazione di Apollinaire: “Tu ne mourras pas tout entier” (“Non morirai tutto intero”), che mi è parsa bellissima.
Abbiamo infine scoperto che su entrambe le nostre spillette stavano porzioni di opere di Joan Miró, rispettivamente: Danseuse espagnole, 1945 e Le gentleman, 1924.
@ Joan Mirò, Danseuse espagnole, 1945

@ Joan Mirò, Le gentleman, 1924
Le sorprese non erano finite perché alle 19 in punto si schiudeva il sipario del teatro circense surrealista. Abbiamo raggiunto la sala, dopo una discesa nell'ascensore vetrato: a sinistra il parco inghiottito dal buio, a destra il laboratorio dei restauratori che si svelava, una decina di centimetri alla volta, alla nostra curiosità divorante.  
I clowns erano anziani professionisti infilati in smaglianti costumi démodé, a tratti pasticcioni, a volte ingenuamente espliciti in errori e dimenticanze, hanno saputo condire lo spettacolo di un pizzico di necessario straniamento. Così si sono succeduti sulla scena un sedicente cinese che ha articolato con mani abili giganteschi origami da fogli di giornale; un gatto sontuoso che ha divorato manciate di crocchette dopo aver zampettato su una sfera rotante e saltato, piccolo leone, attraverso un hula-hoop sospeso; due colombe riottose che si sono inerpicate su una scaletta e poi hanno accondisceso a dondolare su un'altalena di paillette.  
Infine abbiamo faticosamente guadagnato l'uscita, ma ci attendeva un'altra scoperta: le zampe sottili e contorte di un enorme ragno metallico ingombravano il prato su cui si specchia la sala delle ninfee di Monet. Dieci metri di opera di Louise Bourgeois.
@ Louise Bourgeois, Maman, Bilbao
Una cara amica mi aveva raccontato delle sue sculture in marmo, lattex, stoffa, bronzo che ritraggono preferibilmente membri maschili, deformati in varie fogge, e ragni giganteschi. Questo potrebbe suscitare risatine, smorfie di disprezzo o sguardi lanciati al cielo in una muta denuncia d'idiozia, se non fosse che, come in tutte le cose, quel giudizio affrettato rischierebbe di ribaltarsi, a conoscere le motivazioni dell'artista. Louise nasce a Parigi nel 1911, dopo due sorelle: la delusione del maschio mancato il padre gliela farà pesare sempre (per quanto il tanto agognato figlio arriverà dopo di lei), rinfacciandole la mancanza del pene. Un padre dalla virilità esibita e dalla sessualità straripante che alternava alle innumerevoli amanti le visite al bordello, dove si faceva accompagnare dalla piccola Louise, che poi attendeva fuori. Lo sguardo dolorosamente muto della madre e la sua propria umiliazione saranno sentimenti portanti della sua arte.
Come gli altri membri della sua famiglia, da bambina è impegnata a riparare antichi arazzi:
“Mia madre sedeva al sole per ore ad aggiustare arazzi. Le piaceva davvero. Questo senso di riparazione è profondamente radicato dentro di me. Lei era la mia migliore amica. Come un ragno, mia madre era una tessitrice. Come i ragni, mia madre era molto brava. Lei era intelligente, paziente, opportuna, utile e ragionevole. Era indispensabile come un ragno.”
Louise chiamerà 'Maman' il suo primo ragno monumentale. E ancora: “Io avevo il compito di riparare i piedini che si consumavano prima, poi dovevo anche tagliare i genitali dei cupido che gli acquirenti americani, puritani, non volevano vedere in salotto. Mia madre, che era una donna puritana, li tagliava e li metteva tutti insieme in un cesto: un cesto di piccoli peni. Io cucivo al loro posto dei fiori.”
Ora appare tutto un po' meno banale...
La sua arte è terapia di sopravvivenza, rielaborazione creativa della violenza subita, palingenesi dai drammi e dalle umiliazioni familiari; le sue sculture e installazioni sputano fuori il veleno che altrimenti la ucciderebbe o ne armerebbe la mano rancorosa e vendicativa; sono catarsi, purificazione.
Qui è il trailer di un documentario (“The Spider, the Mistress and the Tangerine”) dedicatole un paio di anni fa. Consola sapere che questa fragile novantenne coraggiosa sia ancora viva ad illuminare il mondo.
La nostra esplorazione culturale non era finita. Dopo un breve viaggio in bus siamo approdate al museo Tinguely, che conosciamo bene. Fuori, due squadre di ragazzi si sfidavano a scacchi maneggiando pedine a dimensione umana, dentro si consumava la corsa dei cioccolatini e si assemblavano in cartone animato i disegni dei bambini in visita; anche qui, come al Beyeler, una sezione di ristoro era dedicata alle specialità culinarie francesi. Al museo dei giocattoli di Riehen, poi, ci siamo sfidate su una pista da corsa vintage, stesso modello anni '80 della mia, con la differenza che le barbe di rame erano qui in ottimo stato e le macchinine filavano come il vento (inoltre i viadotti avevano i plinti al loro posto, mentre io li ho persi quasi tutti...). Più tardi abbiamo assistito ad uno spettacolo di marionette graziosamente onirico e curiosato tra i crocchi seduti intorno al falò dove arrostivano lunghi spiedi di würstel stile vecchio West.
Si sono fatte le 22,30 e siamo saltate sul tram storico (Oldtimer-Drämmli) che ci ha portate verso casa. È stata dura convincere Amélie a desistere e rinunciare ai 26 musei mancanti. Lei aveva la determinazione isterica di chi, in una notte, vuole un antipasto di tutto lo scibile umano, io il terrore dello sherpa di professione, che prevede una camminata di ritorno sfiancante, sotto il peso di una creatura addormentata e una collezione di borse che ciondolano dalle spalle.
Così ci siamo perse i piatti del vicino oriente nel museo dei fumetti, le ghiottonerie internazionali in quello delle culture, i bocconi nouvelle cuisine del museo d'arte, le omelette piccanti di quello della musica, i frutti esotici del botanico... 
@ Nicole Pont, Bau dir einen Roboter aus Elektroschrott
Avremmo anche voluto costruire un robot con i rottami metallici, alla 'casa dell'arte elettronica'; contare le bollicine nei calici di champagne al museo della carta; farci modificare i connotati in quello anatomico; ascoltare i racconti degli scheletri a quello di storia naturale, assistere all'opera di Pechino e farci ipnotizzare dagli automi musicanti; pure le magie geometriche del caleidoscopio gigante, in vetrina al museo delle bambole, resteranno nella nostra immaginazione. Quel poco che abbiamo fatto, però, è stato bello, compresa la stupidaria collettiva in tram, che ad ogni frenata repentina scatenava un domino di cadute. È quella leggerezza frizzante che gli svizzeri manifestano nelle occasioni di festa o di celebrazione comunitaria e che svela che bambini gioiosi e incontenibili possano nascondere.
Ecco che ancora una volta dover condensare nello spazio limitato di un post tutte le impressioni che ho collezionato, mi procura la frustrazione della guida di un viaggio a cottimo, che gracchia nel microfono del torpedone la lista di monumenti che la carovana, di volta in volta, costeggia, senza naturalmente potersi fermare mai, per farli visitare in tutto agio.
Ho però dimenticato di svelare il degno premio della nostra vittoria alla gara surrealista: un bulbo oculare venato di capillari arrossati, pupilla liquida e iride da ittero! Mentre scrivo mi squadra con fissità da Polifemo... Credo faccia la sua agghiacciante figura se deposto casualmente sul fondo di un calice, possibilmente pieno.
Quell'atmosfera alla Dalì non era però destinata a sfumare tanto presto! Questa mattina ho assistito ad una rivisitazione moderna de la “Cantatrice calva di Ionesco”, un teatro dell'assurdo straordinariamente attuale e che ha riscosso risate e applausi a scena aperta. Pedalavo poi verso casa e il mio sguardo ha intercettato due ragazzi che giocavano a polo con le biciclette, provvisti di bastoni, disco e tutto. Ho sorriso: a volte la realtà alla nostra fantasia ci mette il cappello... Anzi, la bombetta di Magritte!

2 commenti:

  1. ‘ma …ci.. sono stata anch’io…anzi no, è descritto talmente in modo reale che ci si sente partecipi. Straordinaria la partecipazione, peccato non esserci stata per davvero, immagino la gioia di Amélie e la sua voglia di conoscere sempre cose nuove, ma solo se interessanti, vero?.

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  2. La descrizione della nevicata è delicata e fiabesca. Poi sei passata alla descrizione,che hai reso stuzzicante, delle manifestazioni. Poi hai reso in modo entusiasmante la visita ai musei dove hai incastonato anche la storia di Louise, che purtroppo è anche metafora di chissà quante altre storie analoghe seppur per motivi diversi. Globalmente mi hai fatto il regalo di sentirmi al tuo fianco tanto hai descritto bene le situazioni e, soprattutto, le tue impressioni. Grazie ed un bacio ad Amelie.

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