venerdì 9 dicembre 2011

L'asino di San Nicola e Santi Klaus in Harley Davidson

@ Harley Niggi Naeggi

Volevo scrivere un post su Babbo Natale, nella speranza che il processo di elaborazione del testo me lo cacciasse dalla testa e lo imprigionasse sulla pagina digitale, almeno fino al prossimo anno.

È dai primi di dicembre che in città si assiste a fugaci apparizioni di figuri in mantellina e palandrana (o in alternativa: giacca e pantalone), orlate di pelliccia sintetica bianca. Esibiscono tutte le gradazioni del rosso intenso: dal sangria, al melograno, al veneziano, al ciliegia. Il cappello a cono a volte fa il verso a quello dei sette nani, a volte piega lo stelo sulla spalla, in una molle voluta che si estingue nel ricciolo del pompon. Ce ne sono di allampanati e altri che ostentano rotondità di gommapiuma, tutti però si aggirano furtivi con grandi sacchi marroni e barbe posticce.

Viaggio in bicicletta, o sul tram, o a piedi e il mio sguardo, intorpidito dalla quinta scenica solita di parchi, fiume, strade, piazze, palazzi (modernismo classico, medioevo, novecento), si riscuote all'improvviso per qualcosa d'inconsueto che occupa il campo visivo. Prima che riesca a mettere a fuoco quello scampolo di città macchiato dall'icona suggestiva bianco-rossa-panno-pelliccia, quella è già sparita, risucchiata dagli anonimi birilli umani in attesa alla fermata del tram, assorbita dalle griglie dei tombini, liquefatta nelle pozzanghere picchiettate di pioggia.

Le controfigure di Babbo Natale, o meglio i suoi usurpatori (mia figlia, quando aveva 4 anni, vedendo un ragazzo alle prese con la goffa vestizione alla fermata del bus, mi chiese: “Perché quello è vestito COME Babbo Natale?”) sono come le spose: quando passano, ci si ferma e li si guarda, se capita gli si fa pure una foto. Si torna bambini: un sorriso imbambolato, che chiede un gesto di agnizione, ci si dipinge sul viso. Così, sabato scorso 3 dicembre, mezza Basilea non poteva farsi mancare l'occasione di assistere all'invasione di 50 panzoni dalla barba canuta a cavallo di rombanti Harley Davidson addobbate a tema (per una testimonianza fotografica dell'evento, si clicchi qui). L'Harley Niggi Näggi c'è da una decina d'anni circa, ma per me era la prima volta.

I miei doveri di blogger m'imponevano di partecipare, ma non posso negare che l'improbabile commistione di tatuaggi, treccine vichinghe, giacche di pelle borchiata e parure natalizia stuzzicassero la mia curiosità. Tradizionalmente il rombo dei motori attraversa tutta la città vecchia dall'angolo Riehenring/Clarastrasse, via Schifflände, Barfüsserplatz, Spalenberg, Freie Strasse fino a Markplatz.

 
Puzza di nafta a parte, l'entrata in scena nella piazza del mercato è stata spettacolare, come belle da vedere, nei dettagli degli addobbi ridondanti, le moto, parcheggiate una accanto all'altra, a lisca di pesce, lungo tutto il perimetro dello spiazzo. La parata ha uno scopo benefico: raccogliere fondi per sostenere la fondazione Theodora che allevia, con la gioia e il sorriso, il dolore e la paura dei bambini ospedalizzati.

Il fondatore è André Poulie che un grave incidente occorso nel 1975 costrinse, ancora bambino, ad operazioni dolorose, narcosi e una lenta riconquista della mobilità. L'isolamento nell'ospedale era rotto solo dalla visita giornaliera della madre, Theodora, che nelle 4 ore concessele, sapeva colorare le pareti asettiche con l'arcobaleno della sua gaiezza. In sua memoria, nel 1993, André fondò, insieme al fratello Jan, l'istituzione che ogni settimana manda clown- teatranti, maghi, prestigiatori, musicisti, ad invadere le corsie, scatenare risate e lunghe interiezioni di gioiosa ammirazione. Più di tutto, i piccoli pazienti dimenticano per un po' la grave malattia che li imprigiona e spiccano il volo con la fantasia.

Ecco, ho scoperto questa storia, mi piaceva e ho divagato. In realtà l'invasione vera dei Babbi Natale ha avuto luogo il 6 dicembre, quando si celebra San Nicola, l'avo di Santi Klaus (Santa Claus per il mondo anglofono). Quel nome infatti deriva dalla storpiatura e corruzione di Sinterklaas, appellativo olandese del santo.

Quel mite San Nicola, che viaggiava a dorso d'asino, ha poco o nulla del suo pronipote rubicondo, che monosillaba bonari “Oh-ooooh!”, solcando i cieli natalizi su un tiro a quattro di renne scampanellanti. L'essenzialità originaria è stata deformata dalla chirurgia plastica della massificazione neoliberista, con un pizzico di marketing strategico della multinazionale Coca Cola (che gli tinse la casacca verde di rosso: il colore dominante della bevanda). Ora Santa è un padroncino pronta-consegna e la lettera scritta con la lingua stretta in mezzo ai denti, nel concentrato sforzo di trasformare, per grazia natalizia, le incerte zampe di gallina in bella grafia, è diventata una lista della spesa prepotente di Erba-Voglio.

In un articolo che comparve sul Riformista nel dicembre 2007, Guido Vitiello arricchiva la figura dell'“idolo vermiglio” di una significanza antropologica che mi affascinò. Parlava del suo ruolo di mediatore che assume su di sé l'angoscia insita in ogni dono. Nella società degli adulti, infatti, il regalo ha la potenza terribile di instaurare un vincolo di reciprocità, un debito. Di fronte a questo obbligo ricattatorio il bambino è impotente, non è in grado di ricambiare. Ci vuole quindi un mediatore benevolo, nei confronti del quale non abbia l'onere della contropartita. I regali ammucchiati sotto l'albero, lasciati nel cuore della notte, quando tutti dormono (e non possono, quindi, neppure ringraziare), rappresentano una generosità pura, senza sensi di colpa. Vengono da un altro mondo, la loro esistenza è regolata dalla Grazia, non dalla Legge. Questo era anche l'intento del San Nicola che visse in Turchia nel IV secolo d.C. Divenuto ricco per la morte del padre, aveva deciso di condividere le sue ricchezze con i meno fortunati, ma con una discrezione che celasse loro l'identità del donatore. La leggenda vuole che in tre notti consecutive lasciasse cadere, giù dalla canna fumaria di una casa del villaggio, una borsa di monete nelle calze appese ad asciugare sulla brace del camino. Rappresentavano la dote per tre sorelle del suo paese, a cui la povertà non consentiva il matrimonio. Nicola voleva che il suo dono paresse 'caduto dal cielo' e che loro, scoprendolo, pensassero a Dio, non ad un ignoto benefattore.

Ancora oggi San Nicola torna a visitare le case dei bambini nella notte del 5 dicembre. Si lascia uno stivale ben pulito sulla soglia di casa, una carota per l'asino ed un bicchiere d'acqua per lui. Al mattino poi i piccoli trovano la calzatura riempita di mandarini, noci e dolcetti. Certo, in Svizzera il compito è particolarmente ingrato, visto che fuori di casa si lasciano tutte le scarpe (si entra a piedi scalzi, forse per motivi d'igiene, forse più per ragioni di comfort ed intimità). Così che i pianerottoli sembrano magazzini di stivali, sneakers, mocassini e c'è da immaginarsi che il povero Nicola e l'ancor più disgraziato quadrupede abbiano un bel daffare a districarsi tra lacci, ganci e cerniere (prospettiva che non sorride neppure ai vigili del fuoco, che mandano periodicamente ingiunzioni a sgombrargli il campo, ma tant'è...).

San Nicola si concede anche sotto forma di Grättima: l'omino di pane dolce col bastone e gli occhi di uva passa (varianti prevedono un petto villoso di cristalli di zucchero o una varicella di cioccolato) che imperversa nelle panetterie durante l'avvento. Claude Lévi-Strauss, in “Babbo Natale giustiziato” teorizzava la necessità del sacrificio, quindi della morte, di Babbo Natale, per rigenerare la vita. Nei riti pagani basati sui cicli agricoli l'inverno è il tempo in cui tutto muore e in cui, attraverso i  doni, si pregano i morti affinché sollecitino la rinascita. La categoria umana più vicina ai morti è rappresentata proprio dai bambini, per antitesi speculare e perché ancora non hanno le categorie di pensiero degli adulti. Così, ad averci un antropologo per casa, sbocconcellare un panino dolce può rivelarsi un'esperienza mistica. Per chi volesse avventurarsi all'assaggio, questo è il link con garanzia di consegna a domicilio.

3 commenti:

  1. Sempre molto interessanti questi articoli, si scoprono ogni volta cose nuove e si arricchisce la mente. Splendide le fotografie, tutto molto piacevole, complimenti.

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  2. La manifestazione è molto simpatica e non te l'aspetteresti dalla Svizzera che viene sempre definita come fredda e dedita solo ad accumulare soldi.Leggere gli scritti di Debora mi da' un'intenso piacere mentale perchè dimostra un'enorme cultura distribuita con semplicità e con una proprietà di linguaggio,sintassi,ecc.ammirevole;io penso che sia molto,molto,molto brava e che è un vero peccato che non scriva su giornali o libri,perchè in questo mondo di depravazione della lingua e dei cervelli all'ammasso per quanto riguarda i contenuti leggere una sua pagina sia una boccata di ossigeno.Complimenti alla genitrice di cotanta bravura.

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  3. Grazie, Tore. Mi fa tanto piacere che tu mi legga e che i miei scritti ti facciano compagnia. Sapere di avere un piccolo pubblico che mi segue è lo stimolo più forte a continuare e fare del mio meglio. Un caro saluto. d

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