giovedì 6 ottobre 2011

“Stay hungry, stay foolish!” L'ineffabile poesia di una foglia al vento. In memoria di Steve Jobs.


@ Damon Waselenchuk, Changing Season
Domenica, al ritorno da teatro, ho puntato la bici verso il viale del lungofiume. Il sole caldo irraggiava una luce limpida ma mite, che accarezzava le cose sfumandone i contorni, a segnare l'arrivo, dopo l'euforia chiassosa e ardente dell'estate, del placido autunno. Amélie aveva voglia di arrampicarsi e io di scrivere, così abbiamo interrotto la pedalata verso il pranzo, per fare una pausa in un parco che si affaccia sul Reno. Intorno a noi, un abbraccio di castagni. Prendo possesso di una panchina e mi volto ad osservarli, con il sospiro compiaciuto di chi si gode il piacere raro di rubare alla corsa del tempo un segmento di beatitudine per sé. Anche Amélie trattiene il suo balzo verso le palafitte del parco-giochi per guardare, affascinata. Poi tutt'e due puntiamo il dito nella stessa direzione e diciamo, con un sussurro: “Guarda!” Foglie gialle come mele golden scivolavano giù dai rami più alti: la forza di gravità assecondata con un vortice ampio e sinuoso. Non era però una manciata di foglie, come di solito capita, ma secchiate di piume d'oro che dondolavano sulle onde eccentriche del vento.
A quelle fragili veline rossastre ho pensato oggi, quando, all'apertura del browser internet, non mi è comparsa la solita pagina Apple, ma il ritratto di Steve Jobs, il suo papà. Nessuna parola, perché di commenti non c'è bisogno, solo le date (1955-2011) a circoscrivere lo spazio, breve, occupato dalla sua vita.
Data ad un anno fa (27 ottobre 2010) il memorabile discorso che tenne alla cerimonia di laurea degli studenti di Stanford. Quando lo ascoltai, scoprii di ammirare qualcuno che conoscevo solo in quanto creatore di quel gioiello di tecnologia che troneggiava sulla mia scrivania di faggio. Quel video mi colpì perché non mi aspettavo parole visionarie, eppure semplici, dirette, dal CEO di una società multinazionale.
Un anno prima gli era stato diagnosticato un cancro al pancreas, una prognosi di 6 mesi, ad essere ottimisti, e poi un'operazione riuscita che aveva estirpato il male. Ma Mr. Jobs con lo spauracchio della morte ci viveva, per scelta, dai 17 anni, quando una citazione lo aveva fatto pensare. Così aveva preso l'abitudine di interrogarsi, ogni mattina, davanti allo specchio: “se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?” Ogni volta che la risposta “no” si ripeteva per troppi giorni di fila, capiva che era arrivato il momento di cambiare rotta. Guardare in faccia l'idea che, forse domani, potremmo non esserci più, non deve essere un memento macabro, annichilente, tutt'altro. È il modo più efficace ed immediato che l'essere umano abbia, per tagliare la zavorra che lo trattiene. Una volta che si sgombra il campo dalla paura di fallire, dall'imbarazzo, da ansia, orgoglio, aspettative, quello che rimane è il nocciolo di ciò che veramente siamo e amiamo, il fuoco che fa levitare la nostra mongolfiera. Nient'altro conta, il resto è corollario. Se non abbiamo niente da perdere, non c'è ragione per non seguire il proprio cuore.
Non è stata una storia tutta in discesa, la sua. Tutt'altro. Ma sono stati proprio i rifiuti, i fallimenti, i percorsi interrotti, le battute d'arresto gli eventi che lui definisce “la cosa migliore che potesse capitarmi”. È solo nel limbo solitario in cui siamo costretti a fronteggiare noi stessi, nudi, vulnerabili, veri, che possiamo [ri]scoprire cosa davvero faccia vibrare il nostro essere, la nostra ragione di vita.
Realizzare, in atto, le proprie potenzialità è il modo migliore di impiegare la propria esistenza, secondo il fondatore di Apple. Si può essere davvero soddisfatti, quando si fa un ottimo lavoro e questo è possibile solo quando si ama quello che si fa. È quella passione genuina che dà un senso al nostro esistere e, per questo, vale la pena continuare a cercarla, non rassegnarsi, se non l'abbiamo ancora scoperta.
È questo il messaggio più vero che, accanto alle sue creazioni straordinarie, ci lascia Steve Jobs. Ci ricorda qualcosa che, secondo me, dovremmo ripetere nelle scuole e nelle case, ai nostri figli, ogni giorno: “Non fatevi intrappolare dal dogma, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa volete realmente diventare.”
Il coraggio di scelte rivoluzionarie richiede, sempre, una curiosità spericolata, una cocente brama di vita ed un briciolo di sorridente follia e a questo invitava Jobs quando ripeteva la seconda citazione clou della sua vita: “Stay hungry, stay foolish!” (“restate affamati, restate folli!”)
Tenerlo a mente, è il modo migliore per rendere omaggio a questa non-convenzionale foglia nocciola che si adagia su un prato d'autunno, per trasformarsi in plancton terrestre, linfa vitale, per “far posto al nuovo”, come diceva lui. Prosit, Steve.

2 commenti:

  1. una toccante pagina di poesia, che dalla scomparsa del grande Steve ci insegna a vivere ogni giorno le nostre emozioni, lasciando liberi il pensiero e l’anima. Stupenda, complimenti.

    RispondiElimina
  2. Forse il commento più appassionato e al contempo lucido che mi è capitato di leggere nel giorno della scomparsa di Jobs ... senza dubbio quello che condivido di più ;).

    RispondiElimina