venerdì 19 agosto 2011

Il cammino della felicità

@ Jan Zaremba, Vogel singt Gordische
Intorno ai 12 anni lessi un libro che non ho mai più dimenticato. Ora purtroppo è fuori commercio, si chiama “Il cammino della felicità” e l'autore è Bernard Benson. Per quanto sia praticamente introvabile e quindi la sua citazione abbia il rischio di suscitare una curiosità che difficilmente potrà essere soddisfatta, ne voglio parlare lo stesso perché mi permette di introdurre un tema molto attuale.
Protagonisti della storia sono due bambini che intraprendono un viaggio alla ricerca, come dice il titolo, della felicità e durante le loro peregrinazioni incontrano una serie di personaggi bizzarri, coinvolti in situazioni od occupazioni ancora più particolari. In ciascuna di queste 'stazioni' i piccoli si fermano, spinti dalla curiosità e pongono delle domande. Le risposte che ricevono sono piccole perle di saggezza che, come i sassolini di Pollicino, indicheranno loro che la via per la felicità è fatta di cose semplici, alle volte banali anche, ma che perdiamo di vista, tutti assorti come siamo nella nostra frenesia quotidiana.
Le scene esemplari sono piccole parabole, storielle brevi nella cornice portante della storia e ce n'è una, in particolare, che mi preme riportare:

I bambini arrivarono in cima ad una collinetta, e videro due villette, una per lato del sentiero... Ma come erano diverse tra loro... Davanti alla prima c'era un uomo imbronciato, che brontolava e ansimava, mentre strappava affannosamente le erbacce tutto intorno, e anche se qua e là spuntava qualche fiore, il giardino aveva un aspetto davvero desolato. Di fronte c'era una villetta graziosissima, e sulla veranda in mezzo ai fiori sedeva un uomo sorridente. “Venite avanti” esclamò rivolto ai bambini, mentre l'altro uomo era troppo indaffarato persino per vederli.

[L'uomo li fa entrare e spiega:] “Un tempo, cercavo di mantenere in ordine il giardino strappando le erbacce, ma presto mi accorsi che in questo modo non ci sarei mai riuscito. Mentre le sradicavo da una parte, ricrescevano più rigogliose dall'altra... Il lavoro non finiva mai! Un po' per volta mi accorsi che ci sono fiori capaci di cacciare le erbacce: in poco tempo i loro semi si sparsero dappertutto, soffocarono le erbacce, e ormai il giardino si mantiene in ordine da solo!

La metafora ha a mio giudizio una potenza allusiva notevole. Non faccio fatica ad identificarmi, a volte, con il proprietario del giardino desolato e immagino che sia un sentimento condiviso. Travolti dalla paura e dall'ansia spesso siamo come mosche chiuse in un barattolo, che dibattono le ali impazzite e si gettano contro le pareti di vetro credendole vie di fuga, ma il dolore e lo stordimento non fanno che accrescerne il panico disperato. Le decisioni che si prendono sotto l'effetto di quel dopante negativo che è la paura sono molto pericolose: ci affanniamo a strappare erbacce, sudando, imprecando: più in fretta, più in fretta! Ma quelle tornano ad infestarci il giardino.
Non succede solo nel nostro microcosmo.
È a quella paura compulsiva che fanno appello molti governanti per giustificare o promuovere scelte discutibili che implichino l'uso della forza; anche perché una sana (si fa per dire...) tanica di diserbante ha, sull'opinione pubblica, un impatto maggiore di un innocuo vasetto di erba medica. Un governo che si presenta sbrigativo ed autoritario fa sempre un certo effetto. Come nel caso del giardiniere fallito, però, le politiche di eliminazione delle 'male piante' non paiono aver portato a risultati granché soddisfacenti.
È del 6 agosto la notizia del più duro colpo inferto dalle forze talebane alla coalizione Isaf in Afghanistan. Un elicottero chinook abbattuto: 38 militari uccisi in un singolo episodio.
Viene spontaneo pensare che proprio l'inasprirsi della violenza di questi attentati, ci autorizzi ad intensificare la brutalità del contrattacco. Questo palleggio di barbarie che cresce a ritmo esponenziale è però, a mio parere, una sconfitta per la civiltà. Come a dire che il povero giardiniere fallito finisce soffocato dagli intrecci barocchi, spine e vortici di rami del suo ginepraio.
Senza necessariamente avventurarsi in speculazioni astratte, penso potrebbe essere illuminante fare un gioco a cui ricorro, quando non ho ben chiara una situazione e voglio tirare un po' le somme: traccio una linea e intesto le due colonne che ne ricavo con “costi” e “benefici”.
Se lo facessimo adesso, dove penderebbe il piatto della bilancia?
Soprattutto se si fa una fredda considerazione, che qualsiasi stratega avrebbe dovuto aver presente prima di premere il pulsante “Start”: in 4.000 anni di storia, l'Afganistan sono riusciti a conquistarlo solo Alessandro Magno, Gengis Khan e il generale Paolo Avitabile (conosciuto con il nome di Abu Tabela); epoche in cui però s'ignorava la convenzione di Ginevra...
Il nostro connazionale fu governatore di Peshawar nella prima metà dell''800 e domò la violenza nel paese con sbrigativa crudeltà: i delinquenti catturati venivano squartati e gettati dall'alto dei minareti o impiccati. Si dice che, il ricordo di quel clima di terrore sia ancora tanto vivido, che le madri del luogo ammoniscono i bambini discoli, minacciando di chiamare Abu Tabela. C'è un posto nel mondo insomma, in cui l'Uomo Nero è un uomo bianco, italiano per giunta.
Per concludere con una boccata d'ossigeno, vorrei citare alcuni giardinieri saggi, che per fortuna ci sono e lasciano ai fiori il compito di cacciare le erbacce. Un esempio in scala 1:1 con la nostra esperienza quotidiana, un segno che da qualche parte si comincia a investire nella felicità, piuttosto che nella sopraffazione e nell'avidità, ci viene dalla vicina Germania.
Nella relazione sullo sviluppo mondiale, redatta lo scorso anno dall'ONU, risulta che non ci sia un collegamento diretto tra la crescita economica e il progresso sociale, poiché la crescita ed il consumo continui stanno poco per volta distruggendo gli ecosistemi su cui si fonda proprio il nostro sistema economico. Il comune di Schömberg, nella foresta nera settentrionale, ha così deciso di cambiare rotta.
Qui le decisioni politiche non vengono prese in virtù di criteri prettamente economici. Quello che conta è la felicità degli abitanti e il miglioramento della loro qualità di vita.
Naturalmente una forte partecipazione 'dal basso' è necessaria perché i bisogni e le aspettative della cittadinanza possano essere riconosciuti e valorizzati. Il 15 luglio c'è stato il primo incontro di istituzioni e cittadini, un vero e proprio gruppo di lavoro, che ha discusso i temi d'interesse della comunità: gastronomia, turismo, economia, infrastrutture, scuola, famiglia, traffico, natura, energia, nell'ottica di garantire il miglioramento del benessere generale (in senso “umanistico e psicologico”, cito).
Si parla di “felicità interna lorda”, invece che di “prodotto interno lordo” e le sue colonne portanti sono:
  • la promozione di uno sviluppo economico socialmente regolato;
  • la promozione dei valori culturali;
  • la protezione dell'ambiente;
  • buone strutture amministrative e di governo.
Non si tratta solo di qualità per la vita del comune nel suo complesso, ma anche dei desideri personali dei singoli: “Cosa ti rende felice?” È la domanda che l'amministrazione fa al suo elettorato e, nella sua semplicità, è rivoluzionaria. Da vertigine: è come se un vicino premuroso bussasse al tuo steccato, ti chiamasse con un cenno mentre strappi, estirpi e diserbi e ti dicesse: “dai lascia stare quella roba, guarda qui,” e sotto il naso ti mettesse un abbraccio rigoglioso di germogli lucenti, “scegli quelli che vuoi.” E tu li scegli. Li scegli! Scegli i tuoi sogni, le tue speranze buone e ti metti con cura e pazienza a fare un buco nella terra e poi un altro e un altro ancora. Annaffi, accarezzi, sorridi e gli intrichi infestanti tutto d'un tratto non li vedi più.


2 commenti:

  1. interessante, come sempre bisogna cominciare dalle piccole cose e dalle singole persone per ritrovare l'armonia in quello che ci circonda, ma soprattutto si devono riscoprire valori dimenticati da molti: l'onestà, l'altruismo, l'amore......è necessario ricominciare a parlare di 'loro, voi, noi...'. LuAip51

    RispondiElimina
  2. consiglio la lettura del discorso di bob kennedy alla facoltà di economia di dallas sul dow jones:
    http://mikeboyd.com.au/421/robert-f-kennedys-speech-of-march-18-1968/

    avitabile che diventa abu tabela, padre tabela, (e faccio attenzione a non ricopiare troppo esattamente passi da wiki ;)) è una figata linguistica che mi ricorda il napoletano vasa nicola, bacia nicola, un denominale di basilico... ma già ne parlammo.
    cmq avitabile era di agerola (poco distante da napoli), proprio pochi giorni fa leggevo di lui a proposito del suo castello che cade in rovina

    RispondiElimina