@ Debora Cilli, Orologio senza lancette, Le Marais, Paris 2007 |
Mi sono dovuta rassegnare alla constatazione che il mondo è troppo veloce per me. Non “sia (troppo veloce...)”, congiuntivo: tempo opinabile dell'ipotesi, regno volubile delle probabilità; ma indicativo presente (e pure categorico), “è”.
Ruota sul suo asse a rincorrersi la coda con l'accelerazione di un ottovolante impazzito e il tempo gli sta dietro, il respiro sul collo, uno sghignazzo sadico sfilacciato dalla velocità.
Lo so che è un proposito ossimorico, ma procediamo con calma. Avevo tre articoli in mente, a tema “carnevale”, “ora legale” e “coniglio pasquale”, rispettivamente e non ne ho preso per tempo neanche uno... Ora non mi resta che il piacere un po' sterile di metterli in fila e arricciare un sorriso ebete al rintocco della rima. Frustrante, non c'è che dire, ma procediamo con ordine.
Se chiedete ad un basilese quali siano i più bei giorni dell'anno – in svizzero-tedesco “die drey scheenschte Dääg” (die drei schönsten Tage), non avrà dubbi: quelli del Fasnacht, il carnevale locale, il più grande della Svizzera, che cade, spernacchio protestante al cattolicesimo, in piena quaresima. Quest'anno il 27, 28 e 29 febbraio, ma sempre dal lunedì al mercoledì.
Sono passati due mesi e l'attualità è sfumata, ma questo link di foto è per coloro a cui non dispiace la differita. Così non saprete della vestizione dei “Tre Re”, le statue che sovrastano il portone dell'albergo più bello della città. Il giovedì prima della festa un comitato carnevalesco invade il centro a sirene spiegate e, sotto gli occhi sgranati dei bimbi degli asili che sempre assistono all'evento, leva un braccio meccanico da una camionetta bombata nera. Una volta sospeso in alto, un manipolo di figuri goliardicamente dispettosi traveste i Magi con gli abiti della maschera classica basilese e così il Drei Könige diventa per tre giorni il Drei Waggis Hotel.
Vi siete persi anche tutta la storia delle 'lanterne', perché di lanterne si tratta non di carri. Di lanterne si armano, infatti, le varie clique alle 4 del mattino del lunedì, per il Morgenstreich quando le luci dondolanti, il rombo dei tamburi e il lamento sottile dei flauti spezzano le ultime cortine della notte, segnando l'inizio della festa. Le Laterne in passato erano dipinte da artisti locali e avevano un forte impatto politico e di critica sociale, recavano scene ruvide, rozze, sarcastiche, a volte persino violente così come iroso è il personaggio principe del carnevale basilese: il Waggis, appunto. Caricatura del paesano delle circostanti valli dell'Elsass, con la chioma folta e selvaggiamente ritta in testa, vestito di tela grezza a colori sgargianti e zoccoli di legno. Raccoglie in sé tutti i cliché che, per i cittadini imborghesiti di Basilea, rappresentavano i campagnoli incolti e bruti, che venivano in città una volta a settimana a vendere frutta verdura, latte e uova.
La satira è ancora un ingrediente di cui si fa uso a piene mani, ma si è persa la potenza evocativa di materie prime grezze e arnesi di fortuna del passato, quando la creatività povera di mezzi sapeva trasformare in icona evocativa e strumento musicale qualsiasi oggetto d'uso quotidiano. Altra grande protagonista è, infatti, la musica perché sono vere e proprie orchestre quelle che si sfidano per le strade in labirintici percorsi sonori. E la musica ti danza nella pancia, scende a solleticare le gambe e scoppia nei piedi che devono arrendersi al ballo.
Ruota sul suo asse a rincorrersi la coda con l'accelerazione di un ottovolante impazzito e il tempo gli sta dietro, il respiro sul collo, uno sghignazzo sadico sfilacciato dalla velocità.
Lo so che è un proposito ossimorico, ma procediamo con calma. Avevo tre articoli in mente, a tema “carnevale”, “ora legale” e “coniglio pasquale”, rispettivamente e non ne ho preso per tempo neanche uno... Ora non mi resta che il piacere un po' sterile di metterli in fila e arricciare un sorriso ebete al rintocco della rima. Frustrante, non c'è che dire, ma procediamo con ordine.
Se chiedete ad un basilese quali siano i più bei giorni dell'anno – in svizzero-tedesco “die drey scheenschte Dääg” (die drei schönsten Tage), non avrà dubbi: quelli del Fasnacht, il carnevale locale, il più grande della Svizzera, che cade, spernacchio protestante al cattolicesimo, in piena quaresima. Quest'anno il 27, 28 e 29 febbraio, ma sempre dal lunedì al mercoledì.
Sono passati due mesi e l'attualità è sfumata, ma questo link di foto è per coloro a cui non dispiace la differita. Così non saprete della vestizione dei “Tre Re”, le statue che sovrastano il portone dell'albergo più bello della città. Il giovedì prima della festa un comitato carnevalesco invade il centro a sirene spiegate e, sotto gli occhi sgranati dei bimbi degli asili che sempre assistono all'evento, leva un braccio meccanico da una camionetta bombata nera. Una volta sospeso in alto, un manipolo di figuri goliardicamente dispettosi traveste i Magi con gli abiti della maschera classica basilese e così il Drei Könige diventa per tre giorni il Drei Waggis Hotel.
Vi siete persi anche tutta la storia delle 'lanterne', perché di lanterne si tratta non di carri. Di lanterne si armano, infatti, le varie clique alle 4 del mattino del lunedì, per il Morgenstreich quando le luci dondolanti, il rombo dei tamburi e il lamento sottile dei flauti spezzano le ultime cortine della notte, segnando l'inizio della festa. Le Laterne in passato erano dipinte da artisti locali e avevano un forte impatto politico e di critica sociale, recavano scene ruvide, rozze, sarcastiche, a volte persino violente così come iroso è il personaggio principe del carnevale basilese: il Waggis, appunto. Caricatura del paesano delle circostanti valli dell'Elsass, con la chioma folta e selvaggiamente ritta in testa, vestito di tela grezza a colori sgargianti e zoccoli di legno. Raccoglie in sé tutti i cliché che, per i cittadini imborghesiti di Basilea, rappresentavano i campagnoli incolti e bruti, che venivano in città una volta a settimana a vendere frutta verdura, latte e uova.
La satira è ancora un ingrediente di cui si fa uso a piene mani, ma si è persa la potenza evocativa di materie prime grezze e arnesi di fortuna del passato, quando la creatività povera di mezzi sapeva trasformare in icona evocativa e strumento musicale qualsiasi oggetto d'uso quotidiano. Altra grande protagonista è, infatti, la musica perché sono vere e proprie orchestre quelle che si sfidano per le strade in labirintici percorsi sonori. E la musica ti danza nella pancia, scende a solleticare le gambe e scoppia nei piedi che devono arrendersi al ballo.
Poi
siamo saltati da quel gioioso tip-tap al tic-tac dell'ora legale che,
a partire dall'ultima domenica di marzo, ci ha tolto un'ora di sonno.
Anche quella pagina di calendario è ormai stata strappata e non
saprete mai della querelle
sul “Basler
Zeitung”
(il quotidiano basilese) tra 'Apocalittici e Integrati', per dirla
alla Eco, tra chi nel Sommerzeit
(ora estiva, come si chiama in tedesco) vede una tragedia superflua e
inutile che contravviene alle regole dell'universo, poiché ne
minaccia il continuum spazio-temporale e chi, invece, accoglie
entusiasticamente l'atmosfera mediterranea che dal 1981 si respira
anche in riva al Reno e ne elenca, con anticipato godimento, i
vantaggi: grigliate del venerdì sera, partite a calcio al tramonto,
prolungato ozio serale in piscina. Questa corrente epicurea indugia
nelle reminiscenze storiche elogiando il parlamento che annullò un
referendum popolare del 1978, in cui gli svizzeri si erano espressi
contro il cambio dell'ora, e fa un po' di eziologia. Pare che la
Svizzera, e Basel in particolare, siano state le vere antesignane
dell'ora legale. Furono, infatti, i partecipanti al concilio
cittadino, in carica negli anni 1431-1449, a decidere di spostare in
avanti le lancette dell'orologio della cattedrale: trovata ingegnosa
per accorciare le sedute e godersi in santa pace il pranzo.
L'intervista
a Bernadette, miss mucca-pezzata dei quattro cantoni, che vanta un
record di 7.000 Kg di latte all'anno e, forse in virtù di quello,
lamenta l'anticipo di un'ora della mungitura ve l'avrei risparmiata e
anche ora sorvolo. Solo, se da qualche settimana la tazza mattutina
ha un retrogusto amaro, non rammaricatevi e abbiate invece
compassione.
Così
tante inutili curiosità avete perso per via di questo tempo
maratoneta!
E
poi la primavera che, con la casuale levità di un paracadute di
soffione, ha sconfitto gli ultimi testardi rigori ed è scoppiata in un tripudio di smeraldo.
Già,
la primavera e la sua silenziosa irresistibile forza,
di questo avrei anche voluto parlare. Di come, alla fine di ogni
inverno, in balia degli estremi colpi di coda di freddo, mi ritrovi a
disperare
in un filo di sole. Guardo gli alberi secchi e congelati, i rami d'un
marrone cupo e diffido possa
ricrescere la vita. “Quest'anno non ce la farà” penso ogni volta
e un po' ci credo. Il contrario sarebbe davvero miracoloso. E invece
poi l'impossibile accade e spuntano tutte insieme, inaspettatamente,
migliaia di millimetri di foglie e steli verdissimi. Una tenerezza
neonata, silenziosa, fragile che vince, con la sua caparbia
ineluttabilità, il letargo della similmorte invernale e le fa
scorrere ancora una volta la vita dentro. Può capitare, quella forza
discreta, quella timidezza potente, di riconoscerle negli occhi di
qualcuno. Sono scoperte che tolgono fiato. Miracoli di primavera...
Dai
tappeti di germogli ai conigli pasquali (Osterhase,
in tedesco) il balzo è breve... Leprotti anzi, e non in salmì, ma di cioccolato! In
quest'epoca, infatti, nei paesi di lingua tedesca, un fantastico
quadrupede orecchiuto, simbolo della rinascita della natura e della
fertilità, lascia doni per i bambini. La tradizione che celebra la
stagione del risveglio ha finito per mescolarsi alla festività della
Pasqua cristiana, così che al lunedì dell'angelo i piccoli sono
impegnati alla ricerca della lepre di cioccolato, in genere nascosta
tra i primi fiori del giardino di casa. Poiché il nostro giardino è
una selva “selvaggia e forte” e di coniglietti (veri)
bucolicamente saltellanti ne ospita già qualcuno, ho deciso di
nascondere l'orecchiuto-dentone-croccante nella vaporiera, in cucina.
Rifugio balzano, lo so, ma che gusto a cercarlo!
Così, l'avete capito, i mesi sono
volati e hanno risucchiato nella scia della corsa anche le bozze dei
miei articoli per il blog, lasciandomi con un'espressione di
costernato stupore e una manciata di petali in mano. Già, perché
pure del rigoglio delle magnolie avrei voluto parlare e invece
niente: anche quelle sono sfiorite e si sono sfilate i veli di
chiffon per calzare ciuffi di foglie che ormai guardano all'estate.
Il fatto è che il mio sistema
operativo – quello umano, non l'appendice apple; viaggia secondo
criteri che privilegiano decisamente l'hardware al software. Mi
spiego per gli analfabeti informatici (di cui faccio giullarescamente
parte, sebbene con la presente millanti il contrario...): l'attività
di pensiero è tanta e tale che l'elaborazione di quei dati interni
rallenta, quando non intralcia, l'installazione di programmi esterni.
Nella mia testa sta uno chef cuisinier saccente e pretenzioso
che s'inabissa nella preparazione delle sue vivande cerebrali,
un'apnea creativa, un viaggio orgiastico negli odori e nei sapori,
volute di aromi, mazzi di spezie... E nel suo gioco solipsistico
finisce per escludere categoricamente il mondo di fuori. Quando
l'ebbrezza passa e il capocuoco riemerge dai fumi del delirio
demiurgico, si risente della solitudine e lamenta con petulante
rammarico di essere stato, a sua volta, respinto. E stupisce che il
treno del mondo abbia continuato a correre, invece di fare la muffa
in stazione aspettando i suoi comodi. Nel racconto di Buzzati,
“Direttissimo”, il protagonista è lanciato a rotta di collo su
una locomotiva dalla potenza taurina, verso una destinazione favolosa
e macina sentimenti, affetti, incontri, la sua intera vita, in una
corsa cieca verso il nulla; io, che di quel vapore ho paura, lo
guardo sfrecciare dalla banchina, con il rimpianto di non riuscire,
non a saltarci sopra, ché sarebbe troppo, ma anche solo a
descriverlo, tanto fila in uno stridio di metallo.
Eppure non voglio arrendermi alla sua
corsa, per quanto un compromesso sarebbe rinunciare a trasmettere
idee e pensieri e limitarmi ad una lista di aforismi illuminanti, titoletti concisi e ammiccanti, perle di equilibrismo linguistico che
alludano al contenuto che manca, perché non si è avuto
il tempo di scriverlo e, tanto meno, si avrà il tempo di leggerlo.
Gradisce un assaggino? Prevedo un Futuro in folgorante sintonia con questa smania di correre che gli esseri umani imprimono al tempo. Solo più raggi di luce avremo, ad inondarci il cervello di stimoli cognitivi, lo scibile cosmico del “qui-e-ora” verrà assimilato in un nanosecondo, così che si possa continuare la corsa, sperando, affannati, di recuperare quel nanosecondo perduto...
Una possibilità di salvezza da questo scenario psico-delico forse ci sarebbe... Per carità, si tratta di tracce, indizi apparentemente innocui, ma potentemente significanti. Ve li elenco, poi giudicate voi.
Ho scoperto, ma lo dico in
un sussurro, che ci sono nicchie nascoste in cui il tempo languisce,
addirittura muore e, cosa ancora più curiosa, si adagiano proprio al
fianco di quelle autostrade rombanti che segnano la frenesia della
nostra vita. Ci sono, per esempio, azioni 'senza tempo' che si
ripetono sempre uguale a se stesse. A volte, lo ammetto, la loro
ripetitività, mette i brividi, dà una vertigine di sgomento.
Tutti i martedì ed i
venerdì, tra le 12 e le 12,15 porto il paniere del pranzo ad
un'anziana signora quasi cieca. Controllo che i contenitori siano
chiusi bene, in particolare quello della zuppa, poi m'incammino,
novella Cappuccettorosso. Lascio dondolare il cestino con un gioco di
polso che mi ricorda tempi lontani di bighellonate infantili, poi
accedo al cortiletto, lancio un'occhiata all'albero alla mia destra e
ne registro mentalmente la scansione stagionale, appoggio il piede
sinistro sullo scalino, suono il campanello al piano terra, poi mi
avvicino al bow-window poco più in
là. Frau Pflug mi aspetta, seduta dietro alla finestra. L'altro
cesto, quello vuoto, è anche lui in attesa sul davanzale e lei, che
è un po' sorda, scorge il mio arrivo dal movimento di levitazione
del paniere, perché sa che toglierò il suo per posare il mio,
pieno. Lei allora aprirà l'anta e allungherà il braccio con un
sorriso: “Buon giorno Frau Pflug!” - “Buon giorno, Debora.”
Vorrei dire tante cose in quell'istante sospeso e presumo anche lei,
per quanto laconica impenitente; me lo dicono i suoi occhi che
guardano lontano eppure mi abbracciano. Per quanto non articoli più
che un “buon appetito e buona giornata”, sento galleggiare
nell'aria lunghi, piacevoli discorsi sulla vita, lei che mi racconta
della sua giovinezza e della sua caotica famiglia e la storia di
quella casa e delle generazioni che l'hanno abitata. Me ne vado con
il paniere vuoto, sfioro i rami della pianta che mi ricorda che il
tempo, fuori della nostra nicchia privata, continua a scorrere e
realizzo che, l'ultima volta, ho dimenticato di accostare il naso ai
fiori per assorbirne il profumo. Ora non posso più farlo, ché si
sono sgranati.
Rileggete gli ultimi
paragrafi e vi sarete fatti un'idea vaga di cosa sia un'isola
atemporale (a- privativo, dal greco antico, toglie valore alla parola
a cui si appizza come una zecca).
A Basilea di rifugi del
genere ne ho scoperti un po'. Qui inoltre, a farci attenzione, si
svela un controtempo sconcertante. Gli istanti in cui si svolgono gli
eventi smettono, ad un tratto, di marciare in ordinata successione e
si arrotolano in spire, come le volute di fumo del gatto di Alice,
come serpenti sonnacchiosi. Così capita addirittura di poter tornare
indietro; basta un solo passo per retrocedere di qualche casella e
fare un piccolo viaggio nel tempo. Due sabati fa, per esempio, in
piena festa dei mercati cittadini, una banda ha intonato le note
classiche del carnevale e le strade del centro risuonavano di flauti
e tamburi, che non si poteva fare a meno di pensare al glorioso swing
del Fasnacht.
Il tempo naturale ha poi altre polle di
stagnazione, dense, lucide, iridescenti come gocce di mercurio.
Quelle sfere di coagulo temporale, me le sento sospese sulla testa,
come cupole di leggerezza interrogativa, quando mi avventuro nel
bosco di Allschwil.
Entro e le lancette si bloccano, se
fosse un disco, la puntina raschierebbe sempre lo stesso graffio sul
vinile.
Il tempo qui non ha giurisdizione, si
fanno carico del suo scorrere il fiume e gli uccelli, che con
clangore da foresta scandiscono le fasi del giorno con canzoni ora
pigre e nostalgiche ora frementi di gioia frizzante.
Nel silenzio tecno-umano il
tempo si ferma, non ci sono orari di partenza e di arrivo, corse,
ritardi, la frenesia quotidiana, i suoi doveri, impegni decadono e il
centro del mondo diventa lo stelo di un ranuncolo o la curva del
collo del germano addormentato sulla riva o il volo a pelo d'acqua di
una libellula, nient'altro conta. D'altra parte, di fronte a tale
immensità, come potrebbe?
Era il 02 aprile 2009 –
sarà che la primavera ispira... – quando scoprii, a Basel, una
prima nicchia di ristagno temporale, ma allora ancora non lo sapevo.
Riporto qui di seguito il diario di bordo di quel magnifico giorno.
“Oggi
al supermercato è successo qualcosa di straordinario. Almeno per me.
Vagavo
di fronte allo scaffale della pasta. Lo scaffale della pasta, in un
supermercato svizzero, generalmente occupa non più di 2m di
lunghezza e 1,60 di altezza. Ospita dalle 5 alle 7 varietà di pasta
Barilla. Un paio di De Cecco e 3 varietà di una sottomarca locale,
all'uovo e grano tenero, che notoriamente si spappola poco dopo
l'immersione nell'acqua di bollitura. Da qualche tempo hanno
introdotto la pasta integrale, ma nessuno pare essersene accorto...
Il
mio 'pasta moment' è uno dei pochi Amarcord italiani che mi concedo.
Staziono di fronte allo scaffalino e frugo le ben note, limitate,
varietà, sognando Bucatini, Reginette, Ziti, Gemelli, Strozzapreti
ed Orecchiette, così, tanto per...
Ma
oggi qualcosa è successo. Oggi un piccolo groviglio ha ostruito il
ripetitivo meccanicismo di quella catena di montaggio di atti
necessari e insignificanti che a volte fanno la nostra vita. Nel
consueto ritmo bovino TUFFF-PAN TUFF-PAN TUFF-PAN si è infiltrato un
metallico e assordante SDEEEEENG! Qualcuno lo chiamerebbe una
smagliatura nel matrix.
@ Debora Cilli, Basel 2009 |
La
mia amatissima smagliatura di oggi è un apparentemente innocuo pacco
di pasta che promette un contenuto e poi ne mostra un altro. Un
fantastico cartone che dichiara a chiare lettere maiuscole bianche
PENNE RIGATE e che, suo malgrado, ospita una nidiata di gnocchi che
sgomitano e si accalcano contro la finestrina trasparente, per
condividere la loro burla con il mondo.
Mi
sono innamorata di quel pacco boriosamente ignaro e del suo
inaspettato contenuto. Tanto che l'ho comprato, l'ho fotografato e
penso non lo aprirò mai.
A
volte la terra si ferma, fa un mezzo giro nella direzione opposta, e
poi riparte. E in quel mezzo giro c'è tutto un magnifico cosmo
d'irregolare ed eccentrica, maestosa bellezza.”
Guerra
di macchia, dunque, terrorismo temporale: la salvezza è là, nello
scarto dal consueto, poiché il colpo di coda improvviso che
allontana dalla via maestra per sperimentare nuovi percorsi scatena
inevitabilmente una valanga immobile d'interrogazione sospesa, uno
stupore cosmico e in quel secondo di titubanza c'è abbastanza spazio
per iniettare una piccola dose di antidoto. Laddove il castone che intrappola la successione di secondi, minuti e ore si allenta, in quei passaggi ci si può rifugiare a respirare, come fossero camere di decompressione, e a creare.
L'ultimo, supremo artificio per vincere
il matrix, il colpo di genio da prestigiatore, me l'ha insegnato la
mia piccola Amélie. Lei, che come tutti i bambini, la sa lunga,
perché nel grembo della natura primordiale ancora largamente ci si
crogiola e di invenzioni fantastiche se ne intende, mi ha svelato il
trucco in sordina, un mattino di questa novella primavera. È
arrivata in camera mia con un sorriso furbetto e lanciando ripetute
occhiate significative ai suoi piedi. L'epifania mi ha sorpresa e
invasa di gioia: ai piedi aveva due calzini spaiati. Per qualche
strana alchimia, un piede delle coppie di calzini suoi, ora il
destro, ora il sinistro, finisce immancabilmente per perdersi durante
il processo di lavaggio. Immagino esista un'isola delle calzette
perdute, forse entro la galassia di un tamburo di lavatrice, ciascuno
unico nel suo genere, coloratissimo e a misura peculiare, una
comunità raffazzonata e casuale di profughi erranti ma eternamente
felici. L'avo di questa dinastia di filati di cotone ha trovato un
nuovo impiego, come custodia del mio cellulare (e riscuote un
notevole successo), dal secondo esule in poi Amélie ha cominciato a
sperimentare combinazioni ardite, accostamenti cromatici inusitati,
provocatorie sfide di trama. E così i suoi piedini da elfo possono,
di volta in volta, calzare il modello che più si confà al loro
umore. Gemelli omozigoti, sì, ma dalla personalità smaccatamente
indipendente.
Penso che ci costruirò intorno un
intero sistema filosofico...
Così, mentre la corsa frenetica del
tempo si ferma, curiosa, a guardare i giullari arditi che la sfidano
passeggiando in direzione opposta, io mi godo quell'attimo di
sospensione. E il bello è che quando il mondo di fuori tace, si è obbligati ad ascoltare quello di dentro.
@ Debora Cilli, Arte è Resistenza |
come sempre perdersi nei tuoi scritti è come tuffarsi nella realtà che racconti. Una valanga di emozioni vissute da te e alle quali sento di partecipare anch'io sebbene non presente. Il tuo modo di scrivere tocca sempre il cuore. Bravissima. LUAip51
RispondiEliminaSono senza parole per lo scritto di Debora e sono rammaricata e stupita che ciò che produce non sia pubblicato, pur sapendo che non sempre coloro che riescono a pubblicare sono effettivi scrittori. Sa cogliere particolari che sfuggono ai più e sa proporli in modo forbito, spiritoso e poetico o tutti e tre insieme. In certi punti non è pane per tutti, il suo lessico è impreziosito da perle di conoscenza, competenza. La sua sensibilità e la sua personalità sono notevoli, come emerge dalla massa!
RispondiEliminaFa invidia la sua possibilità di ricorrere a dovizia di particolari, la sua capacità descrittiva con tocco personalizzato. E' capace di trasferire il lettore dove indica lei, dandogli gli elementi per parteciparvi, almeno mentalmente ed anche di spingere alla riflessione.
lasciate senza parole me! Grazie :-)
RispondiEliminaOrmai non mi stupisco più delle emozioni sentimentali e intellettuali che mi provocano i tuoi scritti,perchè sono sempre eccezionali ed al di fuori delle melense considerazioni a cui siamo abituati in questi tempi.Grazie Salvatore
RispondiEliminaGrazie per i tuoi scritti,sono un piacere per l'intelligenza,un sospiro per i sentimenti ed un solletico lieve per l'orecchio.Ciau
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