venerdì 13 dicembre 2013

Bach & Recomposed




“Bach & Recomposed” è un progetto pionieristico dai tratti geniali.

Le intenzioni che ne hanno promosso la nascita hanno a che fare con il fascino del rischio ed il gusto della scoperta. Battere sentieri inesplorati, intraprendere un viaggio lungo strade ancora da disegnare su una mappa bianca e piena di promesse. Queste sono, si potrebbe dire, le sue condizioni preliminari.

Ma se fosse solo questo, B&R si ridurrebbe ad un esperimento elitario e specialistico, un viaggio in solitaria, distante ed incomprensibile ai più; invece quest'opera è impregnata di un grande amore per la musica e di una brama appassionata di condividerla. C'è un pubblico, spesso distratto, a volte indifferente o prevenuto nei confronti della musica classica, un pubblico vastissimo, da entusiasmare.

Questo concerto, che ha riempito due serate basilesi, il 6 e 7 novembre 2013 alla Gare du Nord, ha saputo far danzare un pubblico incantato sulla corda tesa di equilibrismi melodici, alternando alle partiture rassicuranti del Bach noto giochi sonori inconsueti, in una sfida costante al conforto rilassato degli ascoltatori. Come si osservano acrobazie aeree con il fiato sospeso, così abbiamo assistito, in punta di poltrona, con muscoli ed orecchie tese, occhi ed anima sgranati, ad uno spettacolo che ha saputo toccare le corde più profonde del nostro essere.


In sottofondo il battito di una stazione di confine (la Badischer Bahnhof) a cavallo tra due paesi, Svizzera e Germania: treni che partono e arrivano, il soffio della frenata sui binari. Si naviga nei suoi corridoi immensi per raggiungere la sala raccolta a pianta rotonda incipriata dalle fiamme delle candele. Un nido che ci esclude dalla notte di fuori; la tazza calda che ci mette in pace con il mondo e ci strappa un ultimo sorriso prima di chiudere gli occhi e scivolare nel sogno.

In quest'avventura c'è anche scienza e ricerca, c'è una multi-medialità e multi-dimensionalità che riflette il meglio del magma iper-stimolante in cui siamo immersi quotidianamente.
I compagni di viaggio sono due musicisti, Etienne Abelin (violino) e Tamar Halperin (pianoforte e clavicembalo). Ma procediamo con ordine.

Tutto è iniziato in uno studio di Basel, in programma c'era la registrazione di “Sechs Sonaten für Geige und Cembalo” BWV 1014 – 1019 di Johann Sebastian Bach. Come da prassi, le tracce dei diversi strumenti dovevano essere catturate separatamente e, solo in un secondo tempo, assemblate. Sarebbe stato il computer, infatti, a montare e sincronizzare le registrazioni di violino, mano destra al cembalo, mano sinistra al cembalo. Quel materiale grezzo e svincolato dal suo contesto significante costituiva un campionario di note libere sintetizzabili digitalmente in composizioni inesauribili ed inaspettate, ma soprattutto “moderne”. Perché allora non svelare anche ai profani quel tesoro di stimoli sonori che altro non è se non Bach, s-composto e ri-composto?

Lo scopo è chiaro: avvicinarsi al pubblico, rivisitare una lingua a tratti elitaria per tradurla in un codice espressivo immediato. 

Con l'aiuto di un audio designer, Tomek Kolczynski (alla consolle- 'Mac') e di un ingegnere del suono, Amadis Brugnoni (alla regia), Abelin e Halperin hanno alternato talentuose citazioni di Bach al BIG BENG primordiale che di quelle partiture 'canoniche' rivela la materia grezza.

La dichiarazione programmatica di questa sperimentazione si svela, profonda ed ammiccante allo stesso tempo, sulla seconda di copertina del pieghevole illustrativo. Si tratta di due citazioni, una iconica e l'altra testuale. La foto in bianco e nero di un graffito immortalato da Mark Rubenstein a Oxford nel 1966 ritrae una parete di mattoni tipicamente inglese in cui campeggia l'affermazione categorica “BACH IS GOD”.

Più sotto ci sono 4 righe di T. S. Eliot, uno dei più grandi poeti del XX secolo:

“We shall not cease from exploration


And the end of all our exploring


Will be to arrive where we started


And know the place for the first time.”

(dal libro di poemetti Four Quartets, 1943)


Bach è Dio ed è il punto di partenza. Da lì inizia il viaggio ed i versi citati sono premonitori di quel che di lì a poco, in quella sala raccolta, sarebbe successo. “Non bisogna cessare mai di esplorare e alla fine della nostra esplorazione, torneremo là da dove siamo partiti e conosceremo il posto per la prima volta.”

Si parte ed un Bach di cristallo gocciola nell'aria. I secoli si sgranano, rivivono, ancora una volta, lungo le partiture note. Ma lo sono davvero, “note”? Se vi entriamo dentro, se abbandoniamo tutto quello che crediamo di sapere o che non vogliamo conoscere, se ci lasciamo indietro il fardello di pregiudizi e chiusure e ci facciamo prendere per mano da questi tre esploratori, ci ritroviamo a scivolare inaspettatamente in un intero cosmo NUOVO. Si svelano mondi, gemmano inesauribili uno dall'altro: il suono si frantuma in rintocchi che scrosciano fino a cristallizzarsi nel rombo di un tuono; poi il barrito si sbriciola nelle mille schegge di una catena che cigola e si trascina dietro i passi inquieti di uno spirito. Rimbombi; uno scampanio lontano e la fantasia si stacca dal “qui ed ora” per volare su una costa nordica battuta dal vento, crini d'erba selvaggia e ondosa, verdi di pioggia e salsedine, risucchio di risacca, schiocco di galleggianti che cantano l'abbandono di reti da pesca...

Il ritmo, che ci ipnotizza costringendoci a galleggiare nei più profondi recessi della nostra coscienza, aprendone porte e cassetti, lentamente si placa; ne resta un pianto di gocce piene e seriche scandite da un tasto testardo di pianoforte, poi si ritorna a Bach, al suo suono terso, luminoso. Si torna a casa, dopo il Caos primordiale e tutto materico, si approda a Dio, un Dio meno distante, che si può osservare con gli occhi aperti, ché non acceca ma si svela nella sua perfezione matematica.

L'idillio dura poco, il tempo di tirare il fiato, poi si torna testa sotto: un battito cardiaco cavernoso, profondo fa da eco al nostro, poi stridio metallico; scricchiolio; rintocchi di pendola; il gracchiare di uno xilofono che si fa gong; ululati di spiriti che sono rantolo di vento intrappolato; esplosioni ed il crepitare di tempeste elettromagnetiche; vibrazioni; disturbi; il rombare delle turbine, lo scoppio dei reattori; un volo in picchiata e la sirena che s'infiamma; goccia che si tuffa in una pozzanghera; vociare di pipistrelli; richiami di gabbiani e... passi di tango.

La musica non si “sente” solo, si vede, s'assapora, si respira, s'ingurgita in sorsi strozzati da annegato e mentre s'impara a ri-conoscerla, si scopre anche che dentro di noi si sono spalancate le porte di stanze segrete e che tira un vento che ha tanta voglia di ridere e urlare “liberi tutti!”.

Andando avanti le due versioni si mescolano sempre di più, il suono puro si perde in un'eco raschiata. La partitura originale sopravvive come un remoto canto di sirena in una cacofonia sinuosa da tempesta; l'archetto che graffia le corde diventa lama dentata di sega; il martelletto del pianoforte si fa nacchera che schiocca isterica le chele.

Questo evento, che costituisce una perla delle sperimentazioni di Abelin, non è isolato; gli approdi della ricerca di nuove vie, di ponti tra la musica classica ed il pubblico sono molteplici.

In un fantastico TED Talk registrato la mattina stessa del concerto, Etienne spiega:

“È notte alta e voi siete in macchina, la destinazione è una città che non conoscete e in cui non siete mai stati, fa freddo e morite dalla voglia di trovare finalmente un rifugio accogliente, dove vi aspetta una cioccolata calda o un bicchiere di vino.” Quell'immagine eloquente allude al senso d'impotenza e sconforto che provano molte persone negli abissi della musica classica. Ci vorrebbe un GPS che ci viene a prendere ed indica la via. Qualcosa di più artistico di una partitura che possono leggere solo i professionisti, qualcosa come la Music Animation Machine. È un sincronizzatore che anima la musica in proiezione visiva: il suono si traduce in un alfabeto morse di linee e punti che s'accendono e si spengono sotto le carezze delle note, così mentre ascoltiamo ed osserviamo s'inserisce sullo schermo la dimensione del tempo: riconosciamo il cammino lungo cui si snoda il suono e possiamo prevederne il prosieguo, abbiamo quindi l'anticipazione (il futuro) e la memoria (il passato) combinati al momento presente.

“Se non è salute mentale, questa!” chiosa Abelin. Con la MAM si entra in un rapporto molto più profondo con la musica, la si sente in modo più intenso, la si guarda, la si respira. Tesori sepolti e polverosi tornano così alla vita per parlare alle generazioni contemporanee e future e la musica penetra a far vibrare non solo più i timpani, ma le corde dell'anima. Sboccia nel cuore, esplode, diffonde grazia e gioia, lenisce e cura, si fa terapia di Bellezza.

Altri link di Etienne Abelin che vale la pena godersi:

Matteis Project - Baroque ReImagined: Intro Clip

Best of performance: Clip

Ynight - Klassik im Klub:

Ynight "The First" feat. Stephen Malinowski

Ynight "Dark Soul" feat. Andreas Scholl

Sistema Europe Youth Orchestra: Clip

2 commenti:

  1. Che valanga e che intensità di emozioni. E’ vero non tutti conoscono la musica classica, ma riuscire anche a spiegarla come hai fatto tu è ancora di più che conoscerla, è essere un tutt’uno con lei, è farla scorrere nelle proprie vene insieme al sangue, parte vitale del nostro essere. Come sempre : ECCEZIONALE. Brava.

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  2. è geniale,vorrei saper scrivere e conoscere le parole solo alla metà di quello che sa lei;ha una sensibilità eccezionale ed un modo entusiasmante di farti "vedere" la musica,beata lei che è in grado di vivere queste emozioni.In un mondo sempre più materialista ed ignorante è consolante che esistano ancora queste menti.I più vivi complimenti . Tore39

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