martedì 22 maggio 2012

Nobuyuki Tsujii, il domatore di Leviatani



@ http://www.konzerte-basel.ch, Nobuyuki Tsujii
Domenica 13 maggio, ore 11. Siamo sgusciate in platea due minuti prima che chiudessero gli ingressi, la tessera dell'abbonamento sfilata di furia dal portafoglio, il casco della bicicletta infilato sotto il braccio e la giacca slacciata in equilibrio precario su una spalla, fatta scivolare giù dall'altra per compensare la traspirazione della corsa. 
Fila 5, posti 99 e 100: abbiamo fatto alzare tutti, che, subito dopo, in un domino impeccabile si sono riaccucciati nelle loro poltrone e noi con loro. Mentre impacchetto le giacche e ne modello un cuscino improvvisato per Amélie, mi guardo intorno. La Musiksaal è, contrariamente al solito, stipata e le mise piuttosto ricercate. Sul palco sono allestite sedie e leggii per un'orchestra al completo e io mi sistemo meglio sul velluto rosso per godermi l'entrata in scena dei musicisti. Amélie, che è smaccatamente di parte, esulta solo quando prendono posto “I violini!!!” (cit.), lancia uno sguardo obliquo ai violoncelli e poi mima l'accordatura degli strumenti sul sottofondo di un coro di MI. 
Non è però della sinfonia Nr.39 Es-Dur, KV 543 di W. A. Mozart, che voglio raccontarvi ma degli epici quaranta minuti del Prokofjew successivo (Klavierkonzert Nr. 3 C-Dur, op. 26). 
Tra il primo e il secondo programma gli strumentisti si ritirano, si fa posto al pianoforte, un Leviatano nero fatto scorrere fino in centro palco, davanti a tutti, a pochi passi dallo scalino della piattaforma che separa dal pubblico; il podio del direttore d'orchestra gli sta dietro. 
L'aria è elettrica d'aspettativa, c'è un silenzio affollato e consapevole, noto per la prima volta gli sguardi allungati di spettatori dell'estremo oriente e teleobiettivi ipertecnologici che occhieggiano tra i volti intenti. L'idea che qualcosa di straordinario stia per accadere prende sempre più corpo. 
Quando l'orchestra sinfonica basilese è al completo e i brevi scambi di saluti e gentilezze si sono esauriti in un brusio appena palpabile, il direttore si muove verso le quinte per accogliere il solista ospite. Gli infila gentilmente una mano sotto il gomito e lo guida al suo sgabello. 
Il domatore del lucido Leviatano è un ragazzo che viene dal Giappone, 23 anni trascorsi al buio e il sorriso sognante di chi vede lontano e lo fa con gli occhi della mente. 
Si accomoda aiutato con lesta discrezione dal direttore d'orchestra, Michael Collins e, mentre gli strumenti affrontano il prologo, fa i conti con quell'eclisse che gli popola l'eterna notte di sensazioni: il profumo della violinista poco dietro; lo sfregamento dei crini degli archetti sulle corde; lo struscio delle maniche di tulle tempestate di paillettes; i gesti coreografici sul podio; il programma sfogliato in prima fila; il 'clic' impercettibile di una machina fotografica; un colpo di tosse soffocato dal palco, in alto a destra. Ignote presenze amiche, bisbigli, suoni... Note. 
Tutto questo è una quinta scenica che egli ricaccia ai confini del suo campo percettivo, laddove le ombre si confondono con il silenzio e distilla, da quel vortice fluttuante, solo i grappoli di note che diventano la sostanza magmatica del suo essere. 
Annusa l'aria per inalarli mentre testa la sua preda da domare: 'sente' il Leviatano davanti a sé, ne calibra le misure allungando le braccia verso la tastiera, poi ne prende possesso abbracciandola con un gesto del capo che la scorre da sinistra a destra, da destra a sinistra, ad imprimersi nel ricordo la disposizione dei singoli tasti. Gli occhi serrati e le labbra socchiuse nella concentrazione sospesa. 
Il suo corpo ondeggia, vibra ad accogliere la musica in sé, come le corde di un'arpa; come le perle di una tenda percorsa da una carezza di dita, che ne fanno tintinnare i fili, scostandoli. Freme e dilata le narici nell'attesa cieca, per essere pronto a cavalcare l'onda perfetta quando gli si gonfierà sotto i polpastrelli. 
Uno sguardo rapido del direttore, un suo movimento del braccio tracciato nell'aria e quel bozzolo di farfalla in smoking si schiude e dà inizio al concerto per pianoforte n.3 di Prokofjew. 
Le dita di Nobuyuki Tsujii si sgranano come il ventaglio di un pavone. Tra le pieghe delle note sbalzate dalla sua fucina si percepisce quasi un rantolo, un brusio, il rombo sordo d'uno sciame d'api che preme per uscire. È il respiro concitato del felino all'inseguimento e di quella caccia per la vita, di quel galoppo selvaggio, s'indovina traccia nel nistagmo che fa vibrare le palpebre abbassate. L'apnea della fase REM in piena veglia, lo sguardo bendato che vola velocissimo, frenetico, a seguire le dita che saltano come isteriche zampe d'insetti danzanti sul fuoco. Sono troppo veloci, le dita, per seguirne il movimento a occhio nudo. Sgrano i miei nella speranza di impigliare, nelle pupille dilatate, la sequenza di quei fotogrammi accelerati che ricordano il mulinare delle ali di colibrì in quei documentari che ne mostrano, al ralenty, l'acrobatico suggere di fiori succosi. 
È il rantolo anfibio del pesce-uomo un attimo prima che i polmoni gli si scartoccino allo schiaffo dell'aria; è il respiro del mondo che pulsa nel suo tormento magmatico e crea e trasforma. È il respiro impercettibile del direttore d'orchestra, il metronomo che scandisce il tempo di Nobu. È la silenziosa collaborazione dei due che genera una sincronia perfetta: l'uno si volta nei momenti cruciali e adatta il ritmo a quello delle mani dell'altro. 
Non si può descriverlo se non adeguandosi al suo rituale, calzando la conchiglia di corpo che freme e restituisce l'eco potente di un richiamo da sirena. Per questo, ora, osservo a lungo la tastiera del computer, poi le poggio le dita sopra, contratte nel raccoglimento dello scatto, chiudo gli occhi e lascio che a guidarmi sia la musica, lanciata all'inseguimento del mio turbine interiore. 
Sono al buio e lo sento: acrobata che cavalca il galoppo dell'orchestra con frustate feroci. Immagino cosa provi ad essere nocchiero cieco, a veleggiare un oceano spumoso, senza bussola, la stella polare annegata nel cielo d'inchiostro, unica guida la raffinata sensibilità dei polpastrelli per l'acqua salata. 
Dondola sullo sgabello, come oscilla l'aria accarezzata dalle onde sonore di un diapason; offre temerario il viso agli spruzzi salmastri, accarezza e sfida il leviatano, ancorato al rintocco del suo respiro, con colpi svelti, affilati, precisi fino all'affondo finale. 
Una sala intera, con un migliaio di spettatori che hanno scommesso cuore e nervi sulla sua riuscita e ora trattengono il fiato. 
Una manciata di secondi erge una diga di attonimento tra le ultime note e lo scroscio dell'ovazione. A lavare il sangue ed il sudore della lotta si abbatte sul palco il temporale di un applauso senza fine: un abbraccio sonoro che sale dal cupo rimbombo dei piedi pestati sul legno della platea e si unisce alla grandinata del battimani, affinché ci sentisse, dacché non ci poteva vedere. 
Nobuyuki Tsujii si leva dall'agone e stringe il direttore in un gesto tenerissimo e sfinito, poi si concede al rituale dei fiori e ringrazia con ripetuti inchini: umiltà sorridente e disarmante. 
Mi si sono appannati gli occhi e quel nodo di emozioni trattenute in gola si è sciolto in un velo inarrestabile di lacrime; mi sono guardata intorno attraverso la deformazione di quella lente liquida e ho scorto altri fazzoletti che fluttuavano, altrettanti sguardi arrossati. 
Nobu ha solcato i marosi della celebrazione con passo goffo e fiduciosamente abbandonato alla sua guida, poi si è fermato vicino allo sgabello e ha interrotto il clangore con una breve frase, pronunciata con voce da bambino: “Next piece is my own piece to memory heartquake & tsunami in Japan.” Il suo sogno di dodicenne debuttante al Carnegy Hall di New York, “imparare l'inglese e parlare al mondo,” si è avverato. Come pure quello di viaggiare per portare le sue note nel mondo: perché quella che presenta è, nella fattispecie, una composizione sua, in memoria della catastrofe che ha squassato il Giappone lo scorso marzo 2011. 
La melodia è drammatica e rassicurante insieme, a tratti spensierata, sognante, una via di mezzo tra la sigla elegante di un manga di contenuto intenso ed un elogio funebre. Note di redenzione e dolcezza infinita, note di perdono e speranza, tocchi di ninnananna, paesaggi del Giappone, che sfilano su una stampa di seta, semplicità e compiuta perfezione di un fiore di loto. 
Un'idea del miracolo a cui abbiamo assistito ve la potete fare qui, a suonare il primo movimento del concerto per pianoforte N.3 di Prokowjef è Alexander Lubiantsev. Per il movimento due ho scelto la performance di Martha Argerich. Ah, non dimenticate di immaginare che i solisti danzino sulla tastiera ad occhi chiusi... 
Quella domenica, nel foyer, c'era la coda per accaparrarsi i cd di Tsujii e io, che i contanti disponibili li infilo generalmente nel salvadanaio per poi godermi il meritato premio al risparmio, ho convinto Amélie ad una corsa contro il tempo al bancomat più vicino, perché una scheggia di miracolo doveva essere nostra. Così abbiamo dribblato il sonnolento passeggio della domenica, prelevato, fatto ritorno all'auditorium a rotta di collo e conquistato il trofeo (Nobuyuki Tsujii & Yutaka Sado, Rachmaninov, piano concerto n.2 e Liszt, piano pieces). 
Cercavo, il lunedì successivo, traccia del concerto sui giornali, ma ho trovato un solo trafiletto sul BaslerZeitung. Sul Blick am Abend, invece, ho incontrato un altro visionario e la sua storia è tanto particolare che vorrei ritagliare due righe qui per condividerla con voi. Che nel 1964, in piena competizione spaziale USA-URSS un maestro elementare dello Zambia si risolvesse a lanciare il suo personale programma di esplorazione di materia interstellare e corpi celesti è una di quelle notizie tanto surreali e insignificanti da irradiare un fascino irresistibile. E c'è da riconoscere nel suo scriteriato pionierismo la stessa risolutezza di un pianista bambino che trasforma la sua notte in un big-bang creatore di mondi. 
Nonostante le argute trovate d'addestramento del corpo astronauta: centrifughe in taniche d'olio lanciate giù dai declivi, salti dalle altalene in volo, il progetto dovette presto arenarsi per mancanza di fondi. Il governo zambese non lo prese sul serio e persino l'ONU rifiutò a Edward Makuka Nikoloso il finanziamento dei 7 milioni di dollari richiesti. Quest'avventura di ingenuo idealismo umano ha però un lieto fine e anche in questo caso è l'arte a riscattare il limite trasformandolo in miracolo: la fotografa spagnola Cristina de Middel ha salvato la storia dalla polvere trasformandola in un documentario fantasticamente onirico. 
Avrei voluto sfumare in chiusura con l'incipit del nuovo CD di Nobuyuki Tsujii, ma ho scoperto che il mio Mac fa il difficile, a quanto pare divora solo i DVD, la musica no; così, nell'attesa che mi decida a portarlo a riparare, mi godo il concerto nell'immaginazione, in perfetta sintonia con il pianista: lui non può vedere, io non lo posso sentire. E mi sembra un contrappasso molto poetico.

10 commenti:

  1. Debora: I am a big fan of Nobuyuki Tsujii, in U.S.A. I am on my way to see him perform the Prokofiev in London on May 24th. Thank you for a wonderful blog post. I have a web site for the international fans of this remarkable artist - https://sites.google.com/site/nobufans/

    RispondiElimina
  2. Hallo! Thanks a lot for your comment. I'm sure you'll be amazed as I was. I'll check your blog to read your impressions. Safe trip and best wishes. D.

    RispondiElimina
  3. Mi sono venuti i brividi nell'immaginare come vive le emozioni da te descritte. Il tuo racconto può provarlo solo una persona che ha sentimento e delicatezza d'animo. Grazie per avermi regalato questo momento. Bravissima. LuAip1951

    RispondiElimina
  4. Ciao Debb! Bellissimo articolo, come sempre.. Quando riesco ti leggo sempre con piacere, continua cosi'!
    E tanti tanti auguri per oggi! ;)
    Paolo

    RispondiElimina
  5. ciao Paolo, che bello sentirti! Grazie tante per gli auguri e grazie per i complimenti!
    Mi piace l'idea di avere, attraverso il blog, un'occasione per mantenere un contatto con le persone a cui tengo e di cui, per motivi logistici, pratici, di tempo e frenesia quotidiana, non riesco a occuparmi come vorrei.
    Ogni articolo è un piccolo regalo che lancio nell'etere e sapere che a qualcuno darà gioia leggerlo, mi rende felice... :-)

    RispondiElimina
  6. Ho letto solo ora, dopo aver pensato tutto il pomeriggio, scrivi divinamente, la tua partecipazione e l'amore che trasmetti arriverà come un filtro magico ad Amélie, che attraverso te sta imparando la dolcezza e la sensibilità che si trasmettano solo attraverso l'arte e la cultura!
    Sensazioni che tu trasmetti con grande semplicità ma che vengono da un grande profondità mista a cultura e doti naturali.
    Se riesci a far percepire ciò ad una bambina hai maggiori doti di quelle che già ti riserva il tuo stato.
    Tutti i miei complimenti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie! L'intensa gioia dello scrivere sarebbe dimezzata se non potessi condividere le mie 'registrazioni' con gli Altri. Sono quindi particolarmente grata alle testimonianze di lettura, poiché mettono a fuoco, seppure fugacemente, i profili di chi, noti e non, per un breve tratto di viaggio mi accordano la loro mano e s'inabissano con me in apnee dense di tesori. Grazie, ancora.

      Elimina
  7. ho visto ora controllando che il mio commento non pubblicato..avrò sicuramente fatto qualcosa di sbagliato, ora non avendo più a disposizione le stesse parole vorrei cercare di ricordarle.
    Brava per essere come sei: sensibile, intelligente e colta. La sensibilità che ti distingue nel parlare, scrivere ed evidentemente tramettere emozioni importanti anche a tua figlia.
    Questa é una dote grandissima, la sensibilità dona tante gioie ma fa stare molto male per un sola "virgola". un'arma a doppio taglio, ma penso valga sempre la pena avere questa caratteristica che porta più generosità d'animo e mente sempre più aperta!
    Complimenti a te e a chi ti é accanto. Amélie un giorno capirà di avere accanto una grande mamma,
    strega2009

    RispondiElimina
    Risposte
    1. grazie, strega2009, il tema della sensibilità mi è particolarmente caro in questi ultmi tempi. Ho cominciato a leggere un libro molto interessante. Non so se esista una traduzione in italiano, l'autrice è Susan Marletta-Hart, un'olandese trapiantata in Svizzera che si occupa dei casi di "Leben mit Hochsensibilitaet", il vivere quotidiano di chi sia 'affetto' e 'dotato' (non c'è dote che sia avulsa da uno scotto da pagare) di 'alta sensibilità' (traduzione letterale di quella che nel nostro lessico, con una punta di critica è definita 'ipersensibilità'). Lo consiglio, apre nuovi mondi :-) Fa soffrire, sì, ma gli abissi percettivi e le acrobazie emozionali che permette, valgono la pena. Grazie ancora. Un abbraccio. d

      Elimina