giovedì 4 agosto 2011

Le Nereidi di Kusturica

@ Gaston Bussiere, The Nereides, 1902
Il 2 agosto è stato approvato in Senato ed è diventato legge il DL 23 giugno 2011 n.89. Le nuove norme prevedono il rimpatrio dei clandestini, allungano da 6 a 18 mesi la permanenza nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) e da 5 a 7 giorni il termine entro cui lo straniero deve lasciare il territorio italiano.

Una delle cause di questo giro di vite è da ricercare nell'ondata di disordini sociali e politici che, dal dicembre 2010, sta investendo il mondo arabo e che ha causato l'esodo di migliaia di persone, profughi in fuga dalla repressione o dalla guerra, ma anche immigrati in cerca di migliori condizioni di vita. Una massa umana che ha cominciato a premere sull'Europa, passando per la strettoia di Lampedusa. 

Come in Italia, il tema immigrazione si è acuito negli ultimi tempi anche in Svizzera, tanto che, almeno dalla cd. Rivoluzione del Gelsomino, non abbandona le pagine dei giornali. Che il paese rappresenti una meta allettante non stupisce, visto che Zurigo e Ginevra figurano nelle statistiche come le città con la più alta qualità di vita del mondo. L'immigrazione ha infatti qui un impatto piuttosto significativo: è straniero ben il 20% della popolazione (1.573.300 persone su un totale di 7.866.500); l'Italia nel 2010 era al 7% (4.252.70 stranieri su una popolazione totale di 60.752.858 unità). 

Ma se da una parte il governo dispiega un imponente sistema di accoglienza e accompagnamento nella realtà locale, c'è anche chi rema contro e a cavalcare l'onda di paura e xenofobia è lo Schweizerische Volkspartei (SVP), noto anche con la sigla UDC (Union démocratique du centre), un partito svizzero a indirizzo conservatore.

È l'SVP che promosse la mobilitazione anti-minareti che vinse il referendum nel novembre 2009 e poi, a distanza di un anno, inaugurò un'altra campagna choc di stampo razzista con i poster di quelle che io chiamo le Nereidi svizzere.

Le Nereidi, nella mitologia greca, erano ninfe del corteo di Poseidone, il re del mare, avvenenti fanciulle con i capelli ornati di perle, accompagnate da delfini o cavallucci marini. 
Questa è la versione classica, quella svizzera invece fu inconsapevolmente battezzata nell'inverno 2010, quando la propaganda conservatrice tappezzò le città con un cartellone ritraente quattro bellezze nude, che sorgono dalle acque del lago di Zurigo, allegoria del paese nella sua forma di originaria purezza.

La Svizzera è così: 4 corpi distinti (4 regioni linguistiche e culturali: la tedesca, la francese, l'italiana e la romancia – che comprende le valli e il cantone dei Grigioni) uniti dalla catena di mani in uno solo.
Le fanciulle sono di schiena e che non le si veda in faccia è forse una concessione alla loro pudicizia (il messaggio non vuole essere erotico ma squisitamente politico) e però c'è anche probabilmente una componente filosofica. Le si immagina a contemplare l'orizzonte lontano con uno sguardo, si direbbe, nostalgico (la luce perlacea e incerta lo conferma) e quel profilo di nebbiose colline sullo sfondo non è altro che il ricordo di un passato (in pericolo, quasi perduto) di naturale bellezza.
C'è una nota di colore aggiuntiva: le novelle Nereidi hanno un non so che di tropicale: sarà anche per via dell'infarinata di sabbia bianca che, coprendolo, esalta il fondoschiena. O forse è un'altra indulgenza pudica: sedere sì, ma mutandato. Il dubbio rimane. 

Non è tutto però e non è questo che fece gridare allo scandalo, di fanciulle in déshabiller ci siamo dopo tutto abituati. C'era, infatti, un secondo cartellone, quello che rappresentava la Svizzera come sarebbe potuta (malauguratamente) diventare in conseguenza dell'immigrazione di massa. Le donne qui hanno perso la giovanile freschezza, sono infagottate in vestiti che le connotano come provenienti dall'est Europa. Quelle sorgevano (o forse erano in procinto di tuffarsi, essendo asciutte e pure infarinate) da acque limpide; queste sguazzano in una brodaglia putrida e gli aggettivi che vengono in mente a definirle sono: sporche, brutte, vecchie. Per ragioni di associazione mentale inconscia, paiono anche, a pelle, parecchio malintenzionate. Difatti il lago lo invadono: a rendere il degrado della natura che non è più trattata con religioso rispetto, ma violentata e massacrata dalle immonde orde invasore. Poi si sono persi la pace e il silenzio contemplativo: ora nel caos fangoso e affollato si legge il rumore, uno sguaiato vociare di fondo. 
Le poverette hanno lo sguardo perso, che non so quanto abbia contribuito ai fini intimidatori. In realtà ci sarebbe stato meglio un corruccio, uno sghignazzo, un cipiglio volgare e crudele. Sarà che mentre la prima è una foto fatta ad hoc, questa deve essere stata estrapolata dal documento di una cerimonia o un avvenimento in particolare. E così sono andata alla ricerca di paralleli, perché la scena mi richiamava alla memoria un'altra mitologia di tutt'altro segno, quella degli affreschi grotteschi della popolazione gitana in Emir Kusturica. Solo che lì se ne esalta il gioioso carnevale, qui no. Così ho chiesto al mio amico Duilio, la mia banca dati della filmografia d'Essai e ho avuto la risposta. Nel film “Il tempo dei gitani” (“Dom za vesanje” palma d'oro a Cannes nel 1989) vi è una scena affine a questa: descrive il bagno rituale durante la Gurgevdan, la festa di San Giorgio

Una festa, molto sentita dai rom dei Balcani, che segna la morte dell'inverno e il risveglio della natura e dura un giorno intero, dall'alba al tramonto. In quest'occasione ci si purifica e si celebra la rinascita della vita con un bagno, completo o almeno delle gambe, in un corso d'acqua. E, come avevo previsto, non c'è silenzio, ma si canta! Più precisamente il canto tradizionale romanì dedicato all'evento è Ederlezi (ne consiglio l'ascolto: è magnifico). 

Se il parallelismo regge, la foto che è stata scelta dalla propaganda anti-immigrazione si riferisce in realtà a quegli stessi contenuti e principi che anche l'SVP vuole difendere: il rispetto per la natura, il senso di comunità. Tanto più che San Giorgio è un personaggio che attraversa i vari credi, essendo riconosciuto da cattolici, ortodossi e musulmani. 
A volte, insomma, la sorte riserva colpi di sottile ironia.

Oggi, nella campagna di raccolta firme per un nuovo referendum che blocchi l'immigrazione di massa, l'SVP adotta toni più moderati: sui cartelloni campeggiano falcate di gambe nere che calpestano la bandiera svizzera. Dopo i manifesti che ritraevano gli Altri come ratti e le pecore nere [su cui si giocava un sottile gioco di parole: Sicherheit schaffen, “creare sicurezza”, prometteva il testo, ma Schaf vuol dire anche, appunto, 'pecora'] gli stranieri stanno, se non altro, acquistando una forma umana, il che fa ben sperare.

È infine di oggi la notizia che in Olanda, nella ridente cittadina di Vaals, 23 Km da Maastricht è stata emessa un'ordinanza per limitare l'immigrazione di polacchi, rumeni, bulgari ed extracomunitari: chi non ha "adeguati mezzi economici" non ottiene la residenza.
Reazioni diverse, in questa nostra Europa, che in generale rivelano, mi pare, una certa impotenza. Come a dire: tutto il mondo è paese. Però il mondo, forse UN UNICO paese dovrebbe imparare a diventarlo davvero.

Mi piace chiudere con una provocazione e una speranza. La prima viene dal biologo Mark Pagel che ritiene che in un mondo globalizzato non ci si possa più permettere l'attuale babele di lingue e postula l'evoluzione verso una lingua unica che attraversi il globo (presumo si auguri sia l'inglese, non il mandarino). Così, dice, si risolverebbero i problemi di comunicazione. La mia speranza invece è che la molteplicità delle lingue sia preservata e incoraggiata, perché è nel caleidoscopio delle culture, del modo in cui interpretiamo il reale, che sta la ricchezza della nostra umanità.

I rivolgimenti politico-sociali del vicino Oriente, il dramma nel corno d'Africa che attraversa la carestia più dura degli ultimi 30 anni, le catastrofi ambientali causate dai cambiamenti climatici, e chissà cos'altro, fanno presagire che queste emigrazioni di massa siano destinate ad aumentare.
Un primo passo per iniziare a gestirle, in modo umano, è smetterla di etichettarle come foriere di sovvertimento sociale e caos. L'Altro ha sempre fatto paura, dalla notte dei tempi, ma bisogna che i tempi cambino. Non sono un'economista né una governante e tracciare soluzioni, in un contesto complesso come quello delle dinamiche socio-politiche mondiali, sa di passeggiata sulle sabbie mobili. Posso però parlare da cittadina e di quello che voglio sforzarmi di fare io, nella mia quotidianità, per contribuire a risolvere il problema. Cercare di liberarsi dai preconcetti, non dimenticare che ogni persona che attraversa il mare in cerca di fortuna e pace ha alle spalle una storia, più o meno drammatica, che tanto quanto la mia, merita rispetto e tolleranza. La stessa che ho incontrato io, da emigrata in Svizzera.

Lessi una volta in un libro: immagina un mondo che sia tutto di un colore: le case, le persone, gli alberi, gli animali, le insegne al neon, i fiumi e i ponti, il cielo e la terra, tutto giallo, o grigio, o rosa... Come ti sembra?
E ora immaginalo com'è veramente.




2 commenti:

  1. un modo diverso di vedere una dura realtà, forse è il modo più umano e più giusto. Molto interessante, LAIP

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  2. faccio un commento farlocco. il primo cartellone l'ho sempre trovato eccitantissimo ;) menomale che nn doveva passaere il messaggio erotico.

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